La telefonata
Aveva deciso che attendere in piedi non sarebbe stata una grande idea per cui, recuperato uno straccio poco sudicio dalla credenza che occupava tutta una parete, aveva reso utilizzabile la poltrona. Fra le due poltrone un tavolino.
Tre ore. Per tre lunghe ore aveva atteso ma ancora nulla. Cominciò seriamente a prendere in esame l’idea di essere stata presa in giro, o forse peggio.
Le avevano espressamente detto per telefono di attendere in quella scura stanza alla periferia della città. Quando ricevette la chiamata, il suo cuore aveva fatto un balzo. Dall’altro capo della linea Khaleim la stava invitando a raggiungerlo in quella stanza.
E quindi, dopo una perigliosa e trafelata corsa, fra metropolitana e vicoli scuri e lerci, aveva raggiunto l’indirizzo che lo stesso Khaleim le aveva fornito.
E ora attendeva.
Tornò alla poltrona e si sedette. Appoggiandosi allo schienale, la testa all’indietro e lo sguardo rivolto al soffitto. Ora che ci faceva caso Elyse si accorse che molto intonaco era caduto col passare del tempo, portando alla luce una serie di cavi e tramezzi decisamente poco eleganti. Poi posò lo sguardo sul tavolino posto fra le due poltrone. Un telefono e un bicchiere colmo d’acqua stavano l’uno accanto all’altro.
Il riscaldamento non era attivo e nella stanza si iniziava a gelare. La giovane ragazza si sfilò allora il soprabito a mezza gamba grigio e se lo stese addosso usandolo come coperta.
Ora iniziava ad aver paura.
Da piccola i temporali l’avevano sempre terrorizzata, e in qualche modo gli pareva di esser tornata a quell’età, ai tempi dell’orfanotrofio. Tutta sola, abbandonata in un luogo lugubre.
Si strinse ancora di più nel soprabito.
In strada il rumore di una macchina.
Elyse si alzò di scatto precipitandosi verso la finestra. Scostò la tendina leggermente e affacciandosi timorosa vide due uomini in giacca e cravatta con occhiali scuri scendere da un’auto nera. Uno dei due, portò la mano all’orecchio poi volse lo sguardo in alto, proprio in direzione della sua finestra. Erano gli stessi che l’avevano braccata!
Letteralmente balzando all’indietro, Elyse si allontanò dalla finestra. Ora il terrore si era impadronito di lei.
Il suo cellulare iniziò a suonare nella tasca del soprabito. Vi si gettò sopra quasi senza riuscire ad estrarlo dalla tasca tanto le mani le tramavano. Attivò la comunicazione premendo un tasto.
‘Sono già qui’.oh Dio vi prego sono già qui” la voce rotta e tremolante.
‘Mantieni il controllo Elyse. Calmati” rispose dall’altra parte una voce profonda. Ma non sortì l’effetto desiderato. Elyse indietreggiò verso la finestra appiattendosi contro di essa. Un rivolo di freddo sudore prese a scenderle lungo la tempia mentre sentiva i pesanti passi salire le scale interne dell’edificio.
‘Elyse, ti prego. Resta calma. Devi uscire da quella stanza” continuò quindi la voce al cellulare.
‘No’no’.basta continuare a correre. Mi avevi promesso che non mi avresti abbandonata”.
‘Elyse, non riusciremmo ad arrivare in tempo’.devi fuggire. Ti prometto che non ti abbandonerò.
Te l’ho promesso allora e te lo prometto ancora oggi. Ma non puoi, non devi restare lì’.
‘Ti prego ‘.ti prego non abbandonarmi. Non voglio più essere abbandonata”.
La ragazza ora era pallida come un cadavere da obitorio. I passi si avvicinavano sempre più. Una lacrima scese sul suo viso.
Dall’altro capo del telefono, Khaleim rimase in silenzio sospirando leggermente. Poi diede qualche ordine secco a qualcuno e parlò.
‘D’accordo Elyse. Barrica la porta con ogni mezzo, con qualunque cosa tu riesca a trovare. Devi resistere. Io sto arrivando”. Poi la comunicazione si interruppe.
Una scintilla dentro Elyse prese ad ardere con maggior forza. Stavano arrivando. Era davvero tanto vicina ora che non poteva arrendersi.
Ordinò alle sue gambe di muoversi e gettò sul tavolo il cellulare. Poi prese a spingere il tavolo fino a sbarrare con esso la porta. Contava sul fatto che quei vecchi e spessi muri avrebbero retto ogni urto, per cui l’unico pericolo arrivava dalla porta.
Non sarebbe scappata’.non l’avrebbe fatto mai più. Ora era diventata adulta e il temporale non le faceva più paura: un riverenziale timore ma nulla di più.
Si guardò attorno. In un angolo della stanza una pesante madia faceva al caso suo. La trascinò letteralmente verso la porta e il tavolo che la bloccava sino ad appoggiarla al tavolo stesso. Poi, accucciatasi e afferrati due dei piedini del mobile fece forza come mai aveva fatto in vita sua e riuscì, facendola strisciare lungo il fianco del tavolo, a sollevarla e a posizionarvela sopra.
Non le bastava. Serviva ancora qualcos’altro per rinforzare la barricata, ma non sapeva cosa utilizzare. Poi decise che una delle poltrone poteva essere d’aiuto.
E mentre si accingeva a spostarla i passi distinti di due persone si fermarono davanti alla porta. Elyse rimase congelata dove si trovava, accanto alle due poltrone.
Per qualche interminabile momento non successe nulla. Non respirava nemmeno per paura di provocare anche un solo rumore che avrebbe distolto la sua attenzione dalla porta. Poi Dall’esterno qualcuno bussò pesantemente alla porta per tre volte.
Elyse cominciò a singhiozzare.
‘Signorina Goldsmith” disse una voce lenta e cantilenante ‘sappiamo che è qui dentro’.
Elyse lasciò la presa dalla poltrona e la forza interiore che l’aveva spinta a trascinare e sollevare mobili l’abbandonò completamente.
Ancora silenzio.
‘Esca signorina Goldsmith, sapremo essere clementi, glielo garantisco.’.
Ora Elyse piangeva liberamente. Il terrore, la rassegnazione, un senso di nausea e debolezza. Si appoggiò allo schienale della poltrona per non cadere a terra.
‘Aiutami’ti prego” disse con tono soffocato ”ti prego’.
Dietro la porta una voce diversa dalla prima disse ‘Procediamo’. E iniziò il caos.
Colpi inferti con una violenza spaventosa alla porta iniziarono a far volare schegge di legno ovunque nella stanza. Calcinacci che crollavano dal soffitto. I piatti e bicchieri contenuti nella credenza si riversarono tutti a terra in un agghiacciante rumore di vetri infranti.
Elyse si accucciò a terra, stringendosi il capo fra le mani. Poi i colpi si fermarono improvvisamente e con essi il caos.
La ragazza alzò lo sguardo. In pochi secondi la sua barricata era andata in frantumi e sulla soglia della porta completamente avvolta nella polvere sollevata fecero capolino due figure.
Si alzò in piedi col volto rigato dalle lacrime che andavano ad inzuppare la polvere che si era depositata sul suo viso, creando un grottesco trucco che la rendeva molto simile ad un clown triste.
Una delle due figure si fece avanti entrando nella stanza estraendo una grossa pistola e fissando Elyse la quale era immobile e oramai impossibilitata a fare altro che attendere. Attendere e pregare.
Poi il telefono sul tavolino squillò.
All’attenzione del comandante Jason Lock
Capitano Khaleim dell’hovercraft ‘Nautilus’
Oggetto: operazione 19387 / JH
Seguendo le direttive del comando della flotta abbiamo fatto rotta verso il quadrante 4 in base alle ultime comunicazioni ricevute dalla Nemesi trovando la nave dispersa.
Problemi di attracco alla zona evidenziata a causa della presenza di sentinelle nel raggio d’azione della nave. Non volendo attirare l’attenzione su noi e i resti della Nemesi ci siamo dovuti nascondere per alcune ore.
Intuendo la gravità del momento ho comunque dato ordine di intervenire nonostante non potessimo utilizzare l’IE in presenza di una connessione attiva alla rete.
Gravemente danneggiata, posava su un fianco e per entrare ci siamo dovuti aprire un varco con flessibili a fusione.
Una volta all’interno abbiamo recuperato l’ufficiale in seconda Elyse ancora connessa alla rete in grave difficoltà. Abbiamo infatti verificato la presenza di programmi ostili nel suo nodo di connessione.
La connessione alla rete ha resistito grazie al supporto del motore ausiliario che non ha mai cessato di funzionare. Ancora qualche giorno e forse l’avremmo persa.
Oltre a lei nessun altro superstite a causa del violento impatto (la prua della nave era completamente mancante).
Ufficiale in seconda Elyse consegnata all’infermeria al rientro a Zion.
Fine rapporto.
Khaleim consegnò la busta alla segreteria del comando della flotta di Zion e decise di fare un salto in infermeria. C’era davvero mancato poco. L’aveva quasi persa ma, come comandante non poteva rischiare la vita del suo equipaggio.
Si diresse verso la zona dell’infermeria. Chiese ad alcuni assistenti medici che lo indirizzarono verso l’ala ovest del dormitorio. Individuò la stanza e si fermo sulla soglia.
Elyse era distesa sul letto. Gli occhi chiusi e una benda che le fasciava la testa facevano capolino dalle coperte.
Dormiva profondamente dopo giorni e giorni di paure e fatica.
Se avesse potuto leggerle la mente avrebbe visto Elyse tornare indietro nel tempo, sognando di un uomo completamente vestito di pelle nera e un lungo soprabito nero anch’esso.
Quel giorno Elyse aveva solo 6 anni. Era sveglia nonostante fosse notte fonda. Se lo trovò di fronte quasi all’improvviso. Lei lo guardò con occhietti assonnati e strofinandosi il naso con le manine disse: ‘Sei l’uomo nero”.
L’uomo rispose abbastanza stupito alla piccola ‘Si, e se non torni a letto ti porto via’, il tutto cercando di assumere un’aria truce.
‘Portami via con te allora’ disse la piccola Elyse.
‘Ti prego” e gli occhi le si riempirono di lacrime. Il cuore dell’uomo si strinse forte forte mentre guardava quel dolce faccino riempirsi di lacrime. Si chinò, la prese in braccio e appoggiandole la testa amorevolmente sul petto le accarezzò i corti e unti capelli.
E l’uomo nero la portò via con se come un padre farebbe con la figlia.
Khaleim si avvicinò al letto. Le accarezzò la mano che sporgeva dalle coperte fissandola con un po’ d’apprensione. Elyse aprì gli occhi lentamente e vedendolo gli sorrise dolcemente.
‘Ciao piccola mia’ disse Khaleim sorridendole di rimando.
‘Ciao papà” rispose la ragazza.