Un oscuro scrutare: la vita allo specchio
Il regista garantisce ampiamente la qualità del prodotto finale. Tuttavia prima della visione del film, mi sento di suggerirvi un’attenta lettura del libro (Fanucci Editore, 2004, traduzione di Gabriele Frasca). I vincoli costituiti dal mezzo (il cinema) e dalla durata (i canonici 100 minuti o giù di lì) non garantiscono infatti la piena comprensione del messaggio dell’autore. Un messaggio dalle molteplici sfaccettature morali, dalle complesse implicazioni sociali, ma sostanzialmente critico nei confronti del sistema. Se “ciò che avrebbe dovuto combattere il caos è la matrice del caos”, come osserva giustamente Francesco Marroni, autore della postfazione del libro, allora tutto diventa distorto, artificiale, un enorme “palcoscenico in cui ogni cosa viene manipolata per far sì che nessun ostacolo fermi la grande macchina della morte”.
La trama in apparenza è semplice e lineare. E’ il 1994. Su Los Angeles si abbatte il flagello della sostanza M, una droga potentissima in grado di annichilire in poco tempo chiunque ne diventi dipendente. Le origini di tale sostanza, la sua composizione e l’organizzazione che la produce sono ignote. Robert “Bob” Arctor è uno dei numerosi agenti della narcotici che si sono infiltrati fra i tossici per scoprire come si snoda il traffico di stupefacenti e chi si nasconde dietro ad esso. In un ambiente così pericoloso e inquinato dalla corruzione è fondamentale che l’identità dell’infiltrato rimanga sconosciuta anche agli altri poliziotti. A garanzia di tale copertura, quando si trova in compagnia dei colleghi, Bob Arctor indossa un indumento speciale che nascondende le sue fattezze, ed è da tutti conosciuto col nome di Fred.
Due identità. Due vite. Una linea di confine sempre più labile, resa tale anche dall’uso di droghe. Già, il brutto (o il bello, dipende dai punti di vista!) di infiltrarsi è che ci si può immedesimare completamente nel personaggio. Evidentemente Bob Arctor si era affezionato a tal punto al ruolo di tossico, da esserlo diventato sul serio. Un’eventualità affatto estranea a chi, come lui, decide di combattare il nemico dall’interno. Eppure, nonostante i rischi del mestiere, mantenere un certo distacco con l’ “altro”, con il commediante (Arctor/actor/attore) non è poi così complicato: basta una morale di ferro e una cristallina lucidità mentale. E se non le si ha, beh comunque il proprio personaggio avrà sempre cura di non trovarsi nell’occhio del ciclone.
Ma cosa può accadere ad un agente infiltrato quando la droga inibisce il corretto funzionamento del suo cervello’ quando si accorge che la corruzione arriva a livelli più profondi di quanto pensasse’ e soprattutto quando gli viene ordinato di sorvegliare… se stesso’
In poco tempo l’universo di Bob Arctor si capovolge. “Ho visto me stesso al rovescio”, pensa dopo aver letto il referto del laboratorio di analisi psicologiche della polizia.
Di norma un individuo usa l’emisfero sinistro. L’emisfero del sé, o ego, o coscienza, è localizzato là. Questo emisfero è dominante, perché è sempre lì che si localizzano i centri del linguaggio; Il sinistro può essere paragonato ad un computer digitale; quello destro a uno di tipo analogico. entrambi i sistemi percettivi analizzano ed elaborano i dati d’ingresso, ma ciascuno alla propria maniera.
Nel caso di Bob/Fred nessuno dei due emisferi è dominante e pertanto non funzionano, compensando l’uno i dati dell’altro. In sostanza, è come se uno degli emisferi del cervello del protagonista stesse percependo il mondo come riflesso in uno specchio. E qui ci ricolleghiamo alle parole di San Paolo e al suo riferimento allo specchio. La domanda a questo punto è naturale: se osserviamo il mondo come attraverso uno specchio, come possiamo vederlo capovolto’ La risposta ce la dà Dick/Bob/Fred:
San Paolo intendeva, con specchio, non uno specchio di vetro… non ne avevano allora…ma quel riflesso di se stesso di quando ci si specchia sul fondo lucidato di una scodella di metallo. E quel riflesso che torna verso di te, quel riflesso sei tu, è la tua faccia, e nello stesso tempo non lo è. A quei tempi non avevano macchine fotografiche, e pertanto quello era l’unico modo in cui una persona poteva vedersi: al rovescio.
Non deve meravigliarci il riferimento a San Paolo da parte di uno scrittore come Dick, accostato spesso e volentieri a visioni laiche della società, ma allo stesso tempo affascinato dalle Scritture e da alcuni testi gnostici. La rivolta culturale nei confronti del perbenismo borghese ha per Dick qualcosa in comune con l’azione divulgativa dei primi cristiani, ispirata dalla Fede e rafforzata dalla sofferenza, prima che la Chiesa (come ogni altra istituzione, in fondo, umana) cadesse vittima del Potere per poi diventarne l’emblema stesso.
Una delle chiavi interpretative del romanzo è la domanda che il protagonista pone a se stesso: “How many Bob Arctors are there'”. La sua psiche si sgretola e lo smarrimento è totale. Chi sono io’ Fred, il parassita che vive grazie al sistema, o Bob, il tossico distrutto dal sistema stesso che il suo alter ego alimentava’ Ed è proprio nel momento di maggior confusione, dopo l’annichilimento della personalità, che emerge un terzo soggetto: Bruce. Figlio della disintossicazione, prodotto ricostruito in un centro di recupero per tossicodipendenti, Bruce è l’esempio della lobotomia psicologica attraverso la quale il sistema affronta i problemi della società: li crea per trarne un beneficio economico e li distrugge per trarne un beneficio morale. Questo terzo stadio della vita di Bob Arctor è lo stadio finale, la fase in cui il protagonista prende coscienza delle radici del male e capisce, per dirla con Macbeth, che “nothing is but what is not” (nulla è se non ciò che non è). Ciò che avrebbe dovuto combattere il caos è la matrice del caos.
La struttura latente è padrona di quella ovvia. Richiami di Eraclito in Dick. Come in Matrix. Ma se le cose stanno così, se della realtà abbiamo solo una visione parziale e distorta, come possiamo liberare noi stessi e la società dal male’ La risposta di Dick è la stessa che ci dà San Paolo: la fede, che ci consente di credere in ciò che non possiamo vedere con i nostri occhi; la speranza, che ci spinge ad agire per creare un mondo migliore; la carità, che ci libera dall’egoismo per aprirci all’altro. Possiamo scrutare la realtà 24 ore su 24 per il resto dei nostri giorni, impiegando tutti gli strumenti che la tecnologia ci mette a disposizione. Rimarremmo sempre al di qua della verità. Il motivo è semplice e allo stesso tempo difficile da accettare: non abbiamo ancora raggiunto quella consapevolezza che solo Dio può darci e che non appartiene a questo mondo.
Per ora dobbiamo accontentarci di alcuni sparuti e fulminei frammenti. “Epifanie” che si manifestano come via aperta verso “qualcosa di meglio in un futuro remoto”. Il nostro compito è di usare questi pezzi del puzzle per conferire valore e certezza laddove la follia dell’uomo crea disvalore ed inganno.