Ma Gli Androidi Sognano Pecore Elettriche’
Molti hanno visto Blade Runner, ma pochi hanno effettivamente letto il libro da cui è tratto.
Chi si accingesse a farlo, scoprirebbe uno dei grandi capolavori della letteratura fantascientifica, un romanzo visionario, tanto splendido quanto angosciante.
Il libro da cui è tratto Blade Runner s’intitola “Do Androids Dream of Electric Sheep'” (Ma Gli Androidi Sognano Pecore Elettriche’) e l’autore è il grande genio Philip Kindred Dick, dai cui romanzi e racconti brevi sono stati tratti un buon numero di film di fantascienza di successo (Minority Report, Paycheck, Screamers-Urla dallo Spazio, Impostor, Atto di Forza ma anche Matrix e la sua trilogia devono molto allo scrittore).
La storia di Blade Runner/Do Androids Dream of Electric Sheep’ è ambientata in una San Francisco devastata dalla guerra nucleare e contaminata dalla polvere radioattiva.
E’ il 2020, gran parte della razza umana è emigrata su altri mondi e i pochi rimasti si trovano a fare i conti con la continua pioggia radioattiva e la mancanza di vita che è una delle tematiche fondamentali di questo romanzo.
La vera grande nemica è però la solitudine, che spinge le persone rimaste sulla Terra a comportamenti ossessivi, come ad esempio il desiderare di possedere un animale autentico, ma i pochi esemplari rimasti hanno prezzi proibitivi e chi non può permetterseli deve accontentarsi di surrogati meccanici.
Grande tema e punto chiave del racconto è l’empatia; l’empatia è la capacità di identificarsi in un’altra persona in una determinata situazione, è la capacità di condividere i sentimenti e le emozioni di un altro essere vivente.
Molti esseri umani ‘ tra cui il protagonista – si affidano infatti alle scatole empatiche e a una dottrina chiamata “Mercerianesimo”, grazie alle quali vivono un’esperienza di “empatia” reciproca, trovandosi collegati fra di loro in un mondo spirituale nel quale è possibile condividere i prodotti delle loro menti, le gioie e i dolori, alleviando il più possibile questi ultimi.
Il protagonista, Rick Deckard, è un ex cacciatore di taglie che sogna di possedere un animale vero. E’ proprio questa ossessione a spingerlo ad accettare un incarico molto rischioso: dovrà individuare ed eliminare sei androidi modello Nexus 6, che si sono infiltrati illegalmente sulla Terra.
I Nexus-6 sono l’ultimo modello di androide creato, l’ultima versione che ha raggiunto traguardi lontanissimi e impensabili fino ad allora: i Nexus-6 sono infatti creature perfette, praticamente indistinguibili dagli esseri umani, ma, per Deckard “un robot androide è come qualunque altra macchina; può oscillare con molta facilità tra l’essere un beneficio o un pericolo.”
Esiste solo una speciale apparecchiatura, il Test di Voigt-Kampff, ad essere in grado di rivelare la differenza, basandosi appunto sul principio dell’empatia. Questo tema è una delle chiavi di volta del romanzo, quella che rimette in discussione il ruolo di uomo e quello di androide.
In un mondo dove l’empatia che ci lega agli animali è l’unica caratteristica distintiva tra noi e gli androidi, in un mondo ormai continuamente sferzato dalla pioggia battente di polvere, dove l’aria è sempre più traboccante di granelli di polvere radioattivi, tanto fitti e grigi da oscurare il sole, gli androidi non possono provare empatia per gli esseri umani, ma il cacciatore di taglie Deckard arriverà a provare empatia e forse addirittura amore per un androide che però non è in grado di ricambiare i suoi sentimenti.
Altro punto degno di nota, nonché chiave di lettura fondamentale, risiede a mio avviso in una frase: “Per chissà quale motivo, Sloat non si puliva mai gli occhiali. Era come se si fosse arreso.”
Questo è, appunto, un altro aspetto importante di questo capolavoro della letteratura fantascientifica: Philip Dick con questo passaggio sembra volerci suggerire che a poco a poco tutti gli esseri umani, che ancora restano su questo pianeta desolato, finiranno prima o poi per arrendersi alla solitudine e all’ambiente radioattivo, perchè un giorno svegliandosi si accorgeranno di non avere più la forza o una motivazione per continuare a vivere o andare avanti, giorno dopo giorno, come avevano fatto fino a quel momento, anche se tra mille difficoltà.
Unico simbolo di motivazione, forse simulacro, è rappresentato proprio dall’animale reale ed autentico, per cui in alcuni casi anche il solo desiderio ossessivo di possederne uno rappresenta una motivazione, uno scopo.
Le differenze tra uomini e androidi vanno sempre più via via assottigliandosi e, in alcuni punti del romanzo, viene addirittura da chiederci se Rick Deckard sia veramente un uomo.
Egli stesso, però, ha la mente ottenebrata dai dubbi e dalle incertezze ed è spinto più volte a domandarsi cosa sia realmente un uomo.
Il più grande tema lo scopriamo nella fase finale del romanzo: l’architettura di questo libro è così geniale e perfetta che più ci si avvicina al finale, più Philip Dick ci induce a chiederci se siamo noi stessi degli aneroidi. E proprio questo punto fa molto riflettere e pensare.
La fantascienza non è mai stata così profetica dai tempi di Asimov; dopo l’enorme successo di Blade Runner, la trasposizione cinematografica diretta da Ridley Scott e interpretata da Harrison Ford – “Ma Gli Androidi Sognano Pecore Elettriche'” è diventato paradossalmente uno dei classici meno conosciuti e letti del nostro tempo.
Oggi il romanzo e il film si rispecchiano e si confrontano, permettendo ai lettori di ricomporre l’immagine complessa, deformata e inquietante di un mondo che è già dentro di noi, sepolto nei sogni e nella fantasia collettiva del nuovo millennio.
Un mondo sepolto nei sogni che un androide Nexus 6 non potrà mai fare.