LA TEORIA
Mario si recò all’ufficio di zona dell’anagrafe e si fece rilasciare il certificato di nascita, di cui aveva bisogno, fra le altre carte, per chiedere all’Università lo sconto sulla retta annuale.
Sotto all’intestazione, scritta a caratteri maiuscoli, nella seconda riga il documento recitava: ‘Nato il 29 febbraio 1989’.
In passato esser nato in quel giorno dell’anno era sempre stata un’onta, una sentenza senz’appello, per un ragazzo da sempre innamorato del divertimento, drogato dal bisogno di evasione, come i numerosi coetanei, in gran parte poco più che semplici sconosciuti, che lo avevano circondato ogni giorno a scuola, in discoteca, ovunque.
Ma ora, attendeva il ventesimo compleanno con un’ansia diversa, per poter finalmente festeggiare, al di là della semplice celebrazione di rito, la semplice presenza, nel calendario dell’anno 2009, di quel giorno finalmente scritto a chiare lettere: ‘ventinove febbraio duemilanove’; il primo ‘ventinove febbraio’ da quando aveva raggiunto la maggior età, la prima volta, si diceva, che da ‘adulto’ avrebbe potuto godersi ventiquattr’ore interamente dedicate all’anniversario reale della sua nascita, e non più solo stringere gli occhi fino alle lacrime per i sessanta secondi a cavallo tra la mezzanotte del 28 febbraio e il primo di marzo, tra pietosi sorrisi e commenti maliziosi, nel pazzo desiderio di riuscire a fermare lo scorrere del tempo.
Nonostante avesse solo quattro anni ricordava bene la prima volta che la mamma gli aveva spiegato che la sua data di nascita era ‘speciale’, tanto che ricorreva solo una volta prima di eclissarsi per i successivi tre anni, e poi ripresentarsi a celebrare di nuovo lo splendido evento; altrettanto bene ricordava il compimento del quinto, del sesto, e del settimo anno d’età: in tutte quelle occasioni i premurosi genitori avevano indetto feste grandiose, tese quasi ad esorcizzare la tragedia dell’inesistenza di quel giorno virtuale, posto casualmente tra due giorni ‘veri’, il ventotto febbraio ed il primo di marzo, tra i quali gli era stata sistematicamente offerta la possibilità, per non dire la necessità, di scegliere in quale dei due essere festeggiato dalla corte degli amici e dei compagni di scuola.
E ogni volta erano stati due giorni ambigui, il primo vissuto come una finta vigilia, il secondo come un compleanno fittizio, trascorsi tra telefonate di auguri che arrivavano nell’uno o nell’altro, a seconda dell’interpretazione, lettere e biglietti con date diverse ma nessuna corrispondente alla realtà cronologica del ‘ventinove’.
A quegli auguri Mario rispondeva a forza di sorrisi strozzati e falsi ringraziamenti, nell’attesa che si consumasse il lungo triennio di separazione dalla successiva ricorrenza formale di quel giorno.
Quando compì dodici anni fece un pensiero chiaro e coerente: ‘Non sarò mica l’unico ad essere nato il 29 febbraio! ‘nel mondo, statisticamente, devono esserci almeno altri 19.000.000 di esseri umani che condividono la mia sfortuna”; ma Mario di quei diciannove milioni di sfigati non ne conosceva nemmeno uno.
Era ancora poco più che un bambino ma la sua competenza in fatto di internet e computer era stupefacente: www.ventinovefebbraio.eu e www.natobisestile.it, i due siti web che quel giorno decise di aprire, furono completamente disertati dai naviganti: il contatore delle visite misurava una frequentazione scarsa e occasionale, e Mario iniziava pensare che la statistica fosse una scienza di pura merda.
Gli appelli agli altri sfortunati nati bisestili erano caduti nel vuoto, e Mario pensava che quelli si vergognassero più di lui di essere venuti al mondo in quel fatuo e raro giorno; un giorno che solo a pronunciarlo, la gente si chiedeva se esistesse davvero, in genere assumendo un’espressione interrogativa per poi iniziare a cantilenare ‘trenta giorni ci ha novembre”, puntualmente senza risolvere il quesito.
Decise di chiudere per sempre quei siti pieni di sfiga a causa dei quali si sentiva ancora più solo nella triste sorte.
Al compimento del quindicesimo anno per la prima volta trasse vantaggio dall’eccezionalità della situazione, e festeggiò il ventotto febbraio a cena con Camilla, e il primo di marzo in discoteca con Maura.
Tutt’ e due le ragazze erano convinte di essere la sua fidanzata ufficiale.
Il problema si presentò però l’anno successivo, quando ricorse il ventinove febbraio duemilacinque: nel tentativo di organizzargli contemporaneamente due feste a sorpresa, le due ragazze, fino ad allora amiche per la pelle, capirono l’una il ruolo dell’altra e Mario, che per più di un anno aveva zigzagato con eleganza tra le due belle più corteggiate del paese, proprio in occasione di quel raro e prezioso ventinove febbraio astronomicamente reale, rimase solo con i suoi sedici anni, e maledisse ancora una volta e ancora di più la sua sfortuna.
Ma ora era adulto.
Vent’anni, giro di boa; basta pensieri drammatici, basta auto-commiserarsi; per i successivi tre anni decise che se ne sarebbe fottuto riccamente del 29 febbraio.
Era ormai un brillante studente di fisica del secondo anno, e non poteva certo lasciarsi intimidire da quel sistema di convenzioni sociali che gli uomini chiamavano ‘tempo’ e misuravano con orologi, calendari e quant’altro.
Che il tempo fosse una dimensione fittizia Mario lo sapeva ormai bene; gli studi sulla relatività generale e sulla meccanica quantistica gli dimostravano quanto irreali fossero tutte quelle congetture, e a maggior ragione quanto sciocche e vuote fossero state, nel passato, le sue preoccupazioni di adolescente inquieto.
‘Il 29 febbraio è una data importante’ – si ripeteva ormai da due anni – ‘serve a recuperare il tempo perduto dal nostro pianeta nelle rivoluzioni intorno al sole’.
Tanto gli era bastato per calmarsi, quel giorno della terza lezione di ‘fisica generale I’ al primo anno di università, quando il Professor Strano aveva pronunciato quella catartica verità.
Lasciata la segreteria, Mario entrò nell’Aula Magna dell’Istituto di Fisica Teorica; era in ritardo e il Professore stava chiudendo la lezione appena tenuta:
– ‘e dunque, i grandi fisici del secolo scorso, Bohr, Heisenberg, ci hanno insegnato che non è possibile determinare esattamente la posizione e la velocità di un elettrone rispetto al nucleo atomico; tutto ciò che possiamo fare è ipotizzare che in un certo arco di tempo l’elettrone abbia una certa probabilità di esistere in un dato spazio, che possiamo rappresentare come un’onda.
Se è vero questo, trasferendo questi insegnamenti del mondo microscopico, secondo la nostra ipotesi di ricerca, alla trama macroscopica dello spazio-tempo, cioè all’universo che ci circonda, possiamo pensare, per assurdo, che anche in questo ogni componente si comporti come massa e come onda nello stesso istante; la teoria dei ‘Nodi’, o, come qualcuno mi onora già definendola la ‘legge dei nodi’ ci suggerisce che anche nel nostro universo, nella vita di ogni giorno, esistano simili fenomeni, che si manifestano precisamente nei cosiddetti ‘nodi’, ossia, i punti nei quali in teoria, il ‘corpo-onda’ può trovarsi simultaneamente.
Grazie per l’attenzione, ci vediamo la prossima settimana.
Uno scrosciante applauso fece seguito alla conclusione; Mario si unì ad esso senza ancora aver trovato un posto libero e mentre ancora girovagava tra le file gremite di studenti e non solo.
Strano era uno dei personaggi più affascinanti che Mario avesse conosciuto; uno studioso moderno, nonostante l’età, e privo di pregiudizi, disposto a metter in discussione il suo pur vasto sapere di fronte agli enigmi che la fisica moderna rilanciava ormai quotidianamente.
Mario era convinto che quell’uomo fosse dotato di una genialità tale da riuscire a comprendere e far comprendere cose altrimenti inimmaginabili e misteriose.
Il Professor Strano era la massima autorità, in Italia e nel mondo, in fatto di meccanica quantistica, gravitazione universale e teoria delle super-stringhe; attraverso ragionamenti deduttivi aveva sviluppato una sua teoria, da cui la comunità scientifica era ormai prossima ad originare un nuovo postulato teorico della fisica moderna, la cosiddetta ‘legge dei nodi’.
Si trattava di un assunto concettualmente complesso, che in pochi erano in grado di capire, e che Mario aveva letto molte volte nei saggi del Professore, senza riuscire a coglierne l’essenza più profonda; non era affatto facile accettare l’ipotesi che nella vita di ogni giorno potessero valere le stesse regole della struttura sub-atomica della materia.
In parole povere, il Professor Strano sosteneva che, data la grandezza infinita dell’Universo, non potessero in esso non esistere punti precisi, ma praticamente non individuabili, nei quali si manifestano paradossi incomprensibili che fino ad allora erano stati accettati dalla scienza solo nella struttura microscopica del cosmo: ovvero, così come, nella materia microscopica, le particelle si comportano in modo da esistere contemporaneamente, come onda, in luoghi diversi e in momenti diversi, secondo Strano lo stesso doveva poter accadere da qualche parte e in qualche momento per gli oggetti macroscopici.
A titolo di esempio, il Professore amava ripetere il paradosso del volo di linea, secondo il quale un aeroplano in volo da Roma a New York aveva una probabilità infinitamente bassa, ma reale, di trovarsi contemporaneamente anche nello spazio tra due satelliti di un sistema solare lontano milioni di anni luce dalla terra, con lo steso pilota, gli stessi passeggeri e perfino le stesse noccioline e la stessa marca di birra servite a bordo.
Poiché l’universo è infinito, secondo la teoria del Professore, il ‘nodo’ in cui questo poteva avvenire doveva per forza esistere davvero, chissà dove e chissà quando, in quello che noi chiamiamo passato o nel futuro.
Il vecchio Professore aveva trascorso quaranta dei suoi sessantacinque anni di età nella vana ricerca di una prova valida che potesse trasformare la brillante teoria in una legge fisica universale e riproducibile sperimentalmente.
Essere nato il 29 febbraio era stata una fortuna per Mario, che proprio per questo si era infatti avvicinato all’astronomia, alla matematica e alla fisica, fino a diventare uno dei più promettenti allievi del Professor Strano.
Tra i due il rapporto maestro-allievo si trasformò presto in sincera amicizia.
Una notte di luna piena, durante una gita in campagna per studiare la volta celeste, il Professore indicò un punto nello spazio e nel tentativo di rendere comprensibile la legge dei ‘nodi’, cercò di descriverne un esempio teorico:
-ecco, Mario, vedi quella luce intermittente a Nord-Est’ è evidentemente una meteorite, e sta disintegrandosi nell’atmosfera terrestre’
-se lo dice Lei, Professore, non può che essere così.
-vedi, Mario, secondo la mia teoria, quell’evento si è appena verificato non solo nel luogo in cui tu ed io lo abbiamo visto qualche secondo fa, cioè la nostra atmosfera, ma in numero imprecisato di altri luoghi, e forse, considerando la relatività del tempo, è già accaduto in passato e accadrà di nuovo in futuro.
Il Professor Strano parlava con un tono che si sarebbe potuto giudicare retorico, ma con l’umiltà di chi sa scegliere parole semplici per esprimere idee complesse.
-Professore- replicò Mario con scettica indifferenza -ci sono centinaia di meteoriti che bruciano ogni notte nella nostra atmosfera, quindi’-
-Mario!- proruppe Strano, seccato dalla fredda incredulità dell’allievo -non mi riferisco ad altre meteoriti, ma esattamente a quella! voglio dire che quella meteorite, con quella massa, quella velocità, perfino quegli stessi atomi che formano le sue rocce di ferro e nichel, potrebbe esistere in un numero imprevedibilmente elevato di luoghi dello spazio-tempo.
-E inoltre -aggiunse il Professore non senza una punta di orgoglio- se prendiamo per buone le teorie del mio ex-allievo Von Hassenbach sugli universi paralleli, non è nemmeno detto che questo debba avvenire per forza nel nostro universo.
Anzi, se davvero esistessero infiniti universi paralleli a questo, ed io ne sono sempre più convinto, la probabilità che questo avvenga sarebbe infinitamente maggiore, e sarebbe ancora più ovvio il dover accettare la mia teoria.
Mario ammirava il Professor Strano al punto tale che non fu in grado di opporsi a quella logica così ferrea per il maestro ma così fragile per l’allievo.
Dentro di sé, la fiducia nell’intuizione del docente superava le barriere razionali che gli impedivano di accettare una teoria così strampalata, così come da bambino le parole del padre lo avevano sempre rassicurato, arginando lo straripante timore d’essere un uomo sfortunato e perdente.
In compagnia di quell’uomo vecchio nel fisico e giovane nella mente, Mario sentiva un’infinita libertà, accettando la profonda ineguaglianza fra la propria esigenza di logicità e il fantasioso e geniale intuito del maestro.
Il ventinove febbraio del settemilacentodue un piccolo essere di nome Mario si svegliò presto nel lettino sospeso al centro della sua stanza da letto.
Era felice ed eccitato, perché era il suo compleanno e sperava, o meglio sapeva, che avrebbe trovato tanti regali nella sala centrale al piano superiore della grande casa orbitante nel settecentoquarantesimo livello abitativo di rivoluzione intorno al pianeta Eos.
Con il quarto quadrante di pensiero comandò al lettino di posarsi sulla parete sinistra della stanza, indossò le scarpine plasmatiche gravitazionali azzurre e salì verso la porta del soffitto; la superò, dimenticandosi di aprirla e attraversandola con molta fatica (era ancora stordito dal sonno appena terminato) e iniziò a correre forte verso la sala centrale.
La mamma lo sentì e iniziò come al solito a gridare:
-Mario, non correre, lo sai che se ci dovesse essere un calo di energia potresti essere schiacciato sulle plasma-pareti!
Ma il piccolo era troppo eccitato, e correva forte, sempre più forte; nei suoi occhi di luce le immagini dei regali della famiglia erano l’unica realtà che gli interessava. Avere centotre fratelli maggiori, tra quelli solidi, quelli fluidi e quelli eterei, aveva i suoi vantaggi, rispetto ai compagni di esperienza che non ne avevano più di quaranta o cinquanta al massimo.
Stava ripensando ai doni ricevuti nei tre compleanni precedenti: il ventinove febbraio del settemilanovantanove, quando aveva un anno, aveva ricevuto, tra gli altri centoquaranta regali, un meraviglioso estensore di fantasia liquida a cinque dimensioni; il ventinove febbraio dei due anni successivi invece, con una grandiosa colletta, tutti i centotre fratelli gli avevano regalato una costosissima tuta di penetrazione e poi una bussola universale, strumenti grazie ai quali si era immerso in ormai quasi tutte le rocce del pianeta, ricavandone un divertimento senza precedenti.
Si sa, l’esperienza per un quattrenne etereo è importante, una volta formata l’identità mentale teorica nel primo mese di vita, e la materializzazione in un corpo vivente alieno a scelta è parte fondamentale del periodo formativo, purché la famiglia abbia risorse a sufficienza per potersi permettere i dispositivi adatti.
Giunse nella grande sala e lo vide.
Era quel che desiderava più d’ogni altra cosa al mondo: un involucro umano a nove dimensioni indipendenti e inconsapevoli, nuovo di zecca.
Aveva sentito parlare tante volte gli amici delle fantastiche esperienze che si potevano fare con quel particolare tipo di corpo-onda alieno solido.
Il piacere che avrebbe potuto ricavarne si preannunziava intensissimo: si liberò delle parti eteree più dense e scivolò nell’involucro; appena fu dentro di esso selezionò il programma di viaggio e scelse nove universi distanti milioni di anni luce gli uni dagli altri e tutti vicini al proprio, immergendosi con gioia in ognuno di essi.
Per ogni universo attivò tutte le funzioni di amnesia; durante l’esperienza a nove dimensioni non avrebbe ricordato nulla della sua vera natura, ma al ritorno, dopo appena qualche secolo luce, si sarebbe goduto la registrazione di ogni dimensione e ne avrebbe potuto rivivere ogni minimo dettaglio.
Nove esseri di nome Mario vissero quel giorno su nove pianeti solidi di altrettanti universi paralleli indipendenti di eguale densità media.
In uno di essi, un ventenne studente di fisica di nome Mario guardava il cielo, piangeva e si sentiva libero, accompagnato da un vecchio maestro di nome ‘Strano’.