ANTARTICA
L’Eracle venne giù dal cielo come un falco con le ali spezzate. Toccò il suolo violentemente e rimbalzò due volte; prima di arrestarsi del tutto, lo scafo aveva prodotto un’interminabile scia liquefatta e annerita dal fumo.
Dopo un quarto d’ora una sagoma umana uscì da un portello.
Tomaas si portò le mani al volto per schermare gli occhi. I raggi del sole giocavano col ghiaccio e la neve, creando una abbacinante distesa di luce che sembrava prolungarsi all’infinito. Il panorama dava i brividi: l’astronave si era frammentata in quattro tronconi sparsi nel raggio di mezzo chilometro. Tre erano in fiamme, ma per fortuna la stessa sorte non era toccata a quello che lo ospitava.
─ Siamo fregati ─ Marleyev stava spuntando a sua volta da uno squarcio nella carlinga e guardava in giro con occhi attoniti.
─ Poteva andarci molto peggio ─ replicò Tomaas, mentre completava la panoramica a trecentossessanta gradi attorno a lui.
─ E cioè’
─ Potevamo essere morti’
Marleyev allargò le braccia esasperato: ─ Santo cielo! Guarda ─ disse indicando uno degli elementi dello scafo in fiamme ─ Quella sezione conteneva la nostra riserva di cibo e se ne sta andando in fumo. Lo sai dove siamo’ Nella zona antartica di questo pianeta. Ghiaccio e neve in quantità, freddo polare e venti fortissimi, le probabilità di trovare cibo sono prossime allo zero.
Tomaas respirò a fondo. Poi sembrò ricordarsi della presenza del proprio compagno.
─ Il sistema automatico ha fatto in tempo a lanciare un messaggio di soccorso. L’astronave più vicina, l’Athena, ha risposto. Verranno a prenderci.
─ Quando’ ─ chiese Marleyev con un lampo negli occhi.
Tomaas iniziò a camminare attorno al troncone di quella che era stata la prua di un’astronave.
─ Fra quanto tempo’ ─ ripetè Marleyev, mentre arrancava dietro di lui senza riuscire a nascondere l’ansia nella voce.
─ Venti giorni, più o meno ─ urlò Tomaas al vento che gli rimbombava nelle orecchie.
***
L’incendio era scoppiato improvviso e devastante. Le paratie antifiamma avevano sigillato i vari scomparti dell’astronave isolando l’equipaggio in piccoli gruppi. Dal corpo centrale del velivolo, erano giunte urla di dolore e imprecazioni, poi le comunicazioni interne erano cessate. Tutto era accaduto in una rapidissima sequenza di eventi, ultimo dei quali l’atterraggio di fortuna. Il navigatore automatico di bordo li aveva fatti dirigere all’istante verso una destinazione ben precisa. Il sistema solare più vicino in grado di ospitare almeno un pianeta adatto all’uomo. Al termine della rotta, quando ormai tutto era fuori controllo, il caso li aveva fatti atterrare proprio nella zona meno ospitale. Per pochissimo non si erano inabissati in mare, ma questo non l’avrebbero mai saputo.
Tomaas e Marleyev si erano rifugiati in tempo nelle cellule anti-decellerazione. L’impatto, seppur distruttivo nei confronti della struttura del velivolo, li aveva lasciati in vita e in buone condizioni fisiche.
Le fiamme consumarono i tronconi per cinque ore, tempo che Marleyev e Tomaas trascorsero ad accertare cosa fosse rimasto di integro nella loro parte di scafo. Cioè quasi nulla, e comunque niente di utilizzabile ai fini del loro sostentamento.
Impossibile chiarire le cause del disastro, l’unica cosa certa era che l’Eracle non avrebbe più attraversato gli spazi interstellari.
L’Eracle era un piccolo veicolo, velocissimo se paragonato ai giganteschi velivoli da carico. Nove uomini di equipaggio erano sufficienti a governarla; nove più un passeggero che in questa occasione rivestiva una certa importanza, visto che si trattava dell’ambasciatore dell’Alleanza Confederata. Ma le probabilità che qualcuno, oltre a loro due, fosse sopravvissuto all’incendio risultavano pressoché nulle.
Tomaas e Marleyev avanzavano nella neve affondando fino alle ginocchia. Avevano indossato le tute da esterno, in modo da potersi riparare dal gelo primordiale. Sul volto i caschi con le visiere oscuranti, erano regolate al massimo allo scopo di proteggere gli occhi dalla luce. I loro obiettivi, gli altri tre segmenti dello scafo, non bruciavano più, limitandosi a emettere un fumo grigiastro che veniva subito spazzato via dal vento. Il sole era calato impercettibilmente e adesso sembrava sostare sull’orizzonte, tracciando sul ghiaccio una scia di schegge di luce.
L’interno dei tre spezzoni di scafo si presentava pressoché identico: un intrico contorto di lamiere annerite e tecnoplastica fusa. C’era stato l’inferno lì; calore e fiamme, corpi che si contorcevano nello strazio della combustione, vite che se n’erano andate per sempre. Trovarono solo un cadavere, o almeno una cosa che poterono identificare con certezza come tale: un tronco quasi del tutto carbonizzato e irriconoscibile, degli altri non restava più nulla.
***
Avevano parlato per ore, adesso restava solo un silenzio vuoto intervallato dalla continua ossessione delle raffiche di vento. Marleyev si girò per un’ultima volta prima di arrendersi all’evidenza di non riuscire a prendere sonno.
─ Ho fame, una fame che non avevo mai provato ─ disse rialzandosi a sedere.
Tomaas si limitò ad annuire, come se il suo compagno avesse detto una banalità a cui non c’era bisogno di fornire alcuna replica.
─ Moriremo prima di fame o di freddo’ Eh, cosa dici Tomaas.
─ Spero per la fame. Quando gli arti si congelano può essere terribile. Hai mai letto delle prime esplorazioni artiche sulla Terra’ Dicono che si poteva arrivare al punto di tagliarsi un piede o una mano da soli, perché il dolore provocato dal congelamento era così forte che ti faceva impazzire. A ogni modo non sarà per la sete, questo è certo.
Marleyev chiuse gli occhi: ─ Grazie, tu sai essere di gran conforto ─ Poi si rimise giù e parve per davvero prendere sonno, perché per un paio d’ore Tomaas non lo vide nemmeno rigirarsi come aveva fatto fino a quel momento. Ma all’improvviso tornò in posizione seduta, fissando il suo compagno dritto negli occhi.
─ Io vado fuori ─ E se ne uscì con foga, come avesse un appuntamento al quale non poteva assolutamente mancare. Tomaas lo vide correre verso gli spezzoni di astronave, una sagoma che si allontanava scura contro il sole basso.
Doveva essersi addormentato, perché quando aprì gli occhi Marleyev era di nuovo seduto al suo posto.
─ Vuoi mangiare anche tu’ ─ fu l’assurda domanda che gli pose.
Poi Tomaas si accorse del troncone annerito che teneva per le mani.
─ Non è ancora congelato. Certo, è cotto e stracotto, anzi di più, ma forse’
Tomaas fissò il suo compagno senza mostrare un’espressione particolare: ─ Chi credi che sia’ In quella sezione della carlinga dovevano trovarsi Haan o Rosinhi, forse l’ambasciatore stesso. A te stava antipatico, in tal caso potrebbe essere un autentico piacere’
─ Vuoi farmi la morale’ Perché sto cercando di sopravvivere’ Perché non voglio morire’ Perché’
Tomaas rimase in silenzio, poi abbassò lo sguardo.
─ Hai ragione, non ho nessun diritto. Mangia se puoi, mangia pure. Io, semplicemente, non ho fame.
Marleyev iniziò a mordere, o almeno a tentare di farlo. Più che altro sputava in continuazione pezzi di tessuto carbonizzato mentre, a forza, cercava di mandare giù quelli che sembravano rimasti un poco più integri.
─ Credi davvero che possa trattarsi dell’ambasciatore’ ─ chiese a un certo punto.
Ma Tomaas non gli diede risposta. Si era sdraiato su un fianco. Non cercava di dormire, no, solo di mettere ordine ai suoi pensieri. Riteneva fosse necessario fare un po’ di pulizia, là nella soffitta del proprio cervello, dove si accumulano, più o meno vividi, i ricordi di una vita, e tutto questo prima di andarsene per sempre.
Due ore dopo Marleyev vomitava anche l’anima.
***
La voce di Marleyev interruppe la cantilena incessante del vento del vento.
─ Sei Sveglio’ Tomaas, dormi’
─ Se anche fossi stato addormentato’
─ Ascoltami Tomaas, perché devi ascoltarmi come non hai mai fatto con nessun altro prima.
─ E come potrei non farlo’ C’è solo la voce del vento.
Dunque, cosa c’è’ ─ rispose tirandosi su a sedere.
Marleyev era in preda all’agitazione. ─ Noi moriremo, vero’
Tomaas aveva sempre reputato il suo compagno poco sveglio, tuttavia era anche convinto che avesse afferrato in pieno la gravità della situazione in cui si trovavano.
Evidentemente non era così: ─ Non vedo molte alternative. E tu’
─ Io’ credo di sì.
─ Che intendi dire’
Marleyev si avvicinò al suo compagno, come se non volesse far sentire a nessuno ciò che doveva riferirgli. Eppure erano soli.
─ Perché tutti e due, quando uno di noi potrebbe sopravvivere’ Ecco, l’ho detto ─ rispose con un sospiro, come se si fosse tolto un peso dalla coscienza.
Tomaas aggrottò le sopracciglia. ─ Spiegati meglio. Il mio sangue circola poco e il cervello gira a marce piuttosto ridotte.
─ Voglio dire che sarebbe da idioti morire entrambi. Se uno di noi due si sacrificasse, l’altro potrebbe sopravvivere fino all’arrivo dell’astronave di soccorso.
─ Cibandosi del suo corpo. E così, vero’
A Marleyev tremavano le mani mentre annuiva col capo.
Tomaas adesso era completamente lucido. La fame immensa che gli urlava dentro aveva spazzato vie tutte le sue remore iniziali: ─ Per caso ti offri volontario’
Marleyev arretrò d’istinto mentre Tomaas scoppiava in una risata: ─ No, sembra proprio di no. O almeno così parrebbe, ma non credo di sbagliarmi. Allora, come pensi di riuscire a raggiungere una scelta riguardo a chi si dovrebbe sacrificare’
Marleyev rispose all’istante, come se si fosse preparato tutto: ─ Abbiamo molto tempo, direi che è l’unica cosa che non ci manca. Ne discuteremo assieme, con calma. Fra noi due c’è uno che merita più dell’altro di tornare a casa, dobbiamo solo scoprirlo ─ E di fronte allo stupore che il volto di Tomaas manifestava: ─ Sì, voglio dire, ragioniamo sulle opzioni principali. Su chi ha famiglia: moglie e figli, o comunque persone che aspettano il suo ritorno. Insomma chi abbia le motivazioni più valide e meritevoli per salvarsi.
Tomaas rimase in silenzio. Dapprima stupito dall’audacia e dall’originalità di pensiero manifestato dal suo compagno, poi sempre più conquistato dalla logica di quel ragionamento.
─ Va bene, cominciamo ─ rispose infine.
***
La situazione era di stallo. Come in una partita a scacchi i due compagni avevano messo in campo i migliori argomenti a loro favore. Tutti e due avevano moglie e figli.
Entrambi una madre anziana e malata che prima di morire desiderava rivederli. Come età erano simili, così che l’aspettativa di vita non poteva costituire motivo di preferenza per nessuno.
─ Dunque’ ─ fece Marleyev dopo un silenzio che si protraeva da più di mezz’ora. ─ Ogni istante che passa diventiamo sempre più deboli. Potrebbe risultare tutto inutile e tardivo, dobbiamo concludere.
Tomaas scosse il capo. Guardò fuori, dove aveva preso a nevicare furiosamente. Il sole era scomparso dietro una fitta schiera di nuvole, ma il vento continuava il suo concerto atono, solo, adesso, con una maggior potenza di voce. E comunque non era ancora notte, a una latitudine così prossima ai novanta gradi la luce sarebbe rimasta per giorni e giorni, forse mesi.
Marleyev prese ad armeggiare con la sua unità da polso. Con un sospiro premette alcuni pulsanti e un’immagine olografica si materializzò davanti a loro.
Due bambini dell’apparente età di otto anni tenevano le braccia l’uno sulla spalla dell’altro. Uno dei due era bellissimo: biondo, con occhi azzurri e lunghi capelli lisci tagliati alla paggetto. L’altro un autentico campionario di deformità.
Questa volta fu Tomaas ad arretrare, vergognandosi subito dopo del gesto. Era stato puro istinto, e non aveva potuto farci nulla. In vita sua non aveva mai visto una cosa simile.
─ Mia moglie è una santa donna. Però è una seguace della Neo-Dottrina ─ la voce di Marley possedeva l’entusiasmo di un professore di diritto. ─ Brava gente, forse un po’ fanatica. Durante la gravidanza non ha mai voluto fare alcun controllo, e dopo non si è sentita di’ insomma, sai cosa voglio dire. Lui ha bisogno di me, lo avrà sempre. Anche il cervello non è a posto, non del tutto, almeno. Una volta uno mi disse che ero stato fortunato perché avrei avuto il mio bambino per tutta la vita, mentre gli altri, raggiunta la maggiore età, se ne sarebbero andati per conto loro abbandonandoti al tuo destino di vecchio cacasotto. Gli ho rotto il naso con un pugno, uno solo. È stato sufficiente. Mi hanno sospeso dal servizio per sei mesi, ma ne valeva la pena, non credi’
Tomaas capì in quell’istante che la questione era chiusa. Adesso non c’erano dubbi su chi avesse più diritto di fare ritorno a casa. Comprese pure perché il suo compagno non ne avesse mai parlato. La sua ritrosia era stata del tutto naturale, ma anche quel legittimo sentimento si era dovuto arrendere, e rivelarsi, di fronte alla certezza della morte imminente.
Si alzò dirigendosi verso lo scomparto dell’attrezzatura di primo soccorso. Era deformato dall’urto, tuttavia lo aprì con facilità. Prese un bisturi e fece ritorno al suo posto. Sul volto l’apparente tranquillità di una maschera d’indifferenza.
Incise i polsi con pochi rapidi movimenti, fulminando Marleyev con uno sguardo che non ammetteva obbiezioni.
─ Ci vorrà un po’ di tempo, ma non proverò dolore. Le forze mi abbandoneranno poco alla volta, sarà come addormentarsi.
─ Tomaas’
Marleyev rimase a bocca spalancata, senza riuscire a dire altro.
─ Adesso, ti prego, lasciami da solo ─ furono le sue ultime parole. Con lo sguardo gli indicò la parte terminale dello spezzone di scafo e Marleyev, a occhi bassi, si avviò in quella direzione.
Il vento, per un attimo, aveva fermato la sua canzone. Nel silenzio si avvertiva la lieve sonorità delle gocce di sangue che cadevano sul pavimento di metallo; lentamente, sempre più lentamente.
***
Marleyev respirò a fondo, due o tre volte. Attese che i battiti del cuore riprendessero il loro ritmo naturale, poi accese di nuovo l’apparecchio che portava al polso.
L’immagine riapparve nella luce tenue.
Quando’ Quando era stato’ Sei mesi prima, gli sembrava di ricordare. Sì, doveva essere stato all’incirca in quel periodo. Aveva fatto un regalo a suo figlio, un programma per olo-ritocco, e il ragazzo aveva elaborato un’immagine riuscendo a creare un doppio di sé, deformato e caricaturale. Aveva riso mentre la scaricava nella memoria dell’unità da polso. – Tienila con te, ti porterà fortuna’- proprio così aveva detto.
Il gioco di un ragazzo, solo un gioco, che però era servito a salvargli la vita.
Guardò verso la parte anteriore dello scompartimento, la sagoma di Tomaas giaceva inerte su una poltrona, in attesa del proprio incontro con la morte. Poi, di nuovo, l’immagine olografica attrasse la sua attenzione.
‘ Ci rivedremo. Ci rivedremo presto, piccolo mio ‘ disse a bassa voce. Ma il vento, che aveva ripreso a gridare a gran voce il proprio richiamo, già soffocava nel nulla le sue parole.
La fame dentro di lui inveiva ancora. Presto, molto presto, si sarebbe del tutto placata.