L’ANGE SANS SES AILE
La pioggia continuava a scendere da più di tre giorni ormai.
Era come se scandisse l’incedere di un tempo che sembrava rotolargli addosso da un’eternità e il cielo, reso arancio dalle luci della città, rendeva quel tardo pomeriggio di novembre ancora più inquietante; i palazzi di vetro-cemento come mura di un labirinto e, più giù, automobili e luci parevano scivolare via come le gocce sul vetro della finestra.
Rilasciò la tenda e si decise a finire il tè verde che si stava freddando, mentre Black Milk in sottofondo colmava piano il silenzio.
Riaccese la luce. Guardò verso il tavolo. I rottami di hardware low-tech erano ancora lì sopra, ne occupavano la maggior parte e presto gli sarebbero tornati utili.
L’appartamento era in stile minimal-anni ’30, quindi piuttosto spartano, ma tutto sommato confortevole, specialmente per via di quel divanetto rosa scuro un po’ retrò lasciatogli da una sua vecchia zia e della sua sedia a dondolo rossa imbottita che gli rilassava i nervi quando ne aveva bisogno; le pareti rivestite di vernice elettroluminescente NaturalNano, tavolo e sedie in policarbonato, le porte a scomparsa in carbonio ibrido pressofuso, mobili, armadio e cassettiera, idem.
L’ occhio gli cadde per un attimo sulla parete opposta alla finestra, su l”Autoportrait’: in uno dei suoi viaggi, due anni prima aveva avuto la sorpresa e il piacere di scoprire che in Lussemburgo esistevano ancora quei tipici mercatini delle…pulci(‘) * era così che li chiamavano il secolo scorso…’ * e lo trovò lì, su una bancarella di dipinti antichi, come se non stesse aspettando che lui.
Per quel breve attimo gli sembrò che lei lo stesse fissando…
Floria gli ricordava Nastàs’ja… Probabilmente era per via di quell’ espressione algida e… delusa.
Un flash improvviso gli sfiorò lo stomaco e poi su, verso la testa. Immagini di altre vite, in un altro tempo, una vita fa. Immagini che sembravano fatte della stessa materia dei sogni.
Portò l’attenzione sull’orologio, era tardi: doveva ancora sbrigare alcune faccende.
La connessione era ancora giù. Si sentiva un po’… a disagio…, ma stranamente sollevato, quando succedeva, …era strano da descrivere.
Negli ultimi tempi si verificava sempre più spesso che i noiser facessero incursioni in quell’area che era rimasta tutto sommato ‘tranquilla’ in passato; dopotutto c’era da aspettarselo… dopo i recenti fatti di cronaca erano state potenziate le misure di sicurezza preventiva. La chiamavano così.
Uscivano solamente di notte ed erano pressappoco della grandezza di un pallone da basket; troppo piccoli per i radar ad ampio raggio,troppo sfuggenti per un’eventuale ‘contraerea’ automatizzata.
La struttura cava in nanotubi di carbonio riempita a idrogeno permetteva loro voli ‘silenziosi’ e discreti.
Il loro scopo’ semplice: andavano alla ricerca di WLAN non autorizzate e soffocavano temporaneamente il segnale portante con EMP di rumore a larga banda: ciò era sufficiente a sganciare la sincronizzazione dalla portante e interrompere la connessione a 3Ne2t.
3Ne2t era il frutto delle sperimentazioni iniziate una 40ina di anni prima sulle prime reti libere. A lui piaceva il suono che quella parola produceva.
Il livello della sua diffusione era divenuto negli anni incontrollabile, soprattutto dopo lo scandalo Alexandra-Gate del ’24: il ritrovamento da parte di un noto terrorista informatico di enormi covi-dati disseminati tra Asia, Stati Uniti e Africa svelò inequivocabili rapporti d’ interesse tra i gestori di quei server-ombra, politici e magnati dell’ Editoria globale.
Venne a galla che per oltre vent’ anni erano stati accumulati centinaia di PetaBytes di informazioni relative a persone, società e industrie di mezzo mondo: dati anagrafici, test del DNA, e-mail, password, log di accessi a Internet e WiNet, pagamenti elettronici, rilevamenti video, accessi a locali pubblici ‘RFID only’, e chissà quanto altro ancora. Si scoprì poi che i miliardi di dollari spesi da alcuni governi in progetti di ricerca nel campo dell’ intelligenza artificiale non servirono solo a ‘ottimizzare i processi produttivi’, ma si rivelarono particolarmente efficaci nella elaborazione di enormi database…
3Ne2t era l’unica scelta per chi non desiderava far sapere a mezzo mondo cosa aveva mangiato il giorno prima.
Approfittò dell’ assenza di connessione per uscire a comprare gli ultimi 2 componenti di cui avrebbe avuto bisogno per completare il suo ‘iToriyanse’.
Sei ore più tardi, dopo un pasto frugale, un riposino ristoratore e una doccia per svegliarsi dal torpore, la connessione era ancora giù e non aveva smesso di piovere. Cominciò a indossare la tuta alare hi-tech un po’ logora che gli aveva passato sottobanco Mr S. qualche anno prima, e a preparare tutto il necessario, secondo la stessa serie di gesti che ripeteva ogni volta, come una sorta di rito, come era abituato a fare da qualche anno.
Questa volta però avrebbe cambiato metodo, non gli piaceva utilizzare i flasher per coprirsi la fuga e questa volta non l’avrebbe fatto: era pericoloso, giù in strada. Non per lui, ma per automobilisti e passanti.
Aveva messo a punto l’ ‘iToriyanse’ per quel motivo. Sincronizzando a dovere i semafori nel raggio di 1 km, avrebbe tenuto sgombra la zona ed evitato sguardi indiscreti.
Tuta, vela, visore telescopico IR, a posto: era ora di uscire.
Ma questa volta non dalla porta. Guardò giù in strada dall’ alto del 142° piano del suo appartamento, premette il tasto blu elettrico del ‘Tori’… le strade sottostanti cominciavano a svuotarsi di quei puntini luminosi;* Funziona! * pensò * …così… *.
L’adrenalina cominciava a entrare in circolo e ad ogni battito l’aria che gli faceva il giro dei polmoni gli sembrava sempre più fresca: ogni volta che arrivava a quell’ attimo, sentiva di essere letteralmente a un passo dall’ essere davvero libero… anche se solo per un minuto.
Indossò il visore e gettò una rapida occhiata tutto intorno per sicurezza, modalità zoom.
* ‘…!!! …speriamo di farcela… * non c’era più tempo: un respiro profondo, lo stacco, il vuoto.
78 piani più su, sul tetto di un grattacielo vicino…
-Filìppovna’-
-Pensavamo ti fossi perso…! ciao.- rispose con affetto.
-Ciao. Il Loran D è armato’-
-Sì Sabaēl, anche i mirror sono già operativi-
-Bene. Ti ho portato le cose che mi avevi chiesto-
-E il prototipo di tuta nanoTech’-
-Nella sacca, insieme al resto-
Lui non poté fare a meno di lanciarle un’ occhiata mentre lei la infilava lungo la schiena tonica e sensuale, sulla pelle olivastra che tradiva le sue origini russo-indiane; notò il tatuaggio che aveva alla base del collo, poco appariscente, ma comunque chiaro: øº°Abdizuel°ºø. Chiuse la lampo fino in cima, tirò su la testa passandosi una mano tra i capelli per togliersi quelle ciocche bagnate da davanti agli occhi verde-mare.
Sabaēl la conosceva da parecchio tempo e negli ultimi tempi a volte gli era sembrata più cupa, più fredda e determinata di quanto non fosse un paio di anni prima.
Azra’il pochi metri più in là era già pronto da un pezzo e stava ricevendo indicazioni da Nakir che li aspettava giù in strada, nel loro vecchio furgoncino grigio.
Filìppovna l’aveva aiutato a ripiegare la vela e a fissarla alla tuta alare: non era solo la loro procedura di sicurezza, era una specie di rito di fratellanza tra loro tre, che in fondo si fidavano l’ uno dell’ altra proprio come fratelli.
Erano hackers. Erano ammazza-noiser. Erano base-jumpers.
Avevano trovato il modo di unire l’utile al dilettevole facendo quello che più li faceva sentire vivi; quattro anni di scorribande aeree tra i grattacieli insieme a caccia di noiser, qualche cicatrice, fughe rocambolesche a bordo del furgoncino di Nakir, attacchi DoS in WiNet, bevute, risate. Non erano mercenari, avevano scelto di non esserlo, anche se quel che facevano sarebbe stato ben pagato.
Era illegale e si rischiava la galera per quelle bravate.
Gran parte dell’equipaggiamento era materiale di contrabbando recuperato dalla Seconda Guerra del Caucaso: i visori telescopici IR, i mirror, le vele, i flasher al magnesio.
Nakir aveva recuperato quel materiale e l’aveva rielaborato adattandolo alle loro esigenze: era il genietto del gruppo e preferiva il laboratorio ai tetti.
3Ne2t permetteva loro di restare in contatto quotidianamente pur abitando in agglomerati diversi ed era l’unico mezzo sicuro di pianificare le loro ‘battute di caccia’ notturne senza rischiare di essere scoperti.
Era passata l’una da poco e non aveva ancora smesso di piovere. Sabaēl stava aiutando Filìppovna a ripiegare la vela, mentre le raccontava della figuraccia che si era fatto il giorno prima al centro commerciale.
La risata venne interrotta bruscamente. Tutt’ a un tratto un puntino blu cominciò a lampeggiare sulla schermata olografica dei tre visori: i mirror avevano fatto il loro dovere attirando un noiser nel loro raggio di azione.
-E’ mio- disse deciso Azra’il. Pochi rapidi passi, lo stacco e scomparve.
Filìppovna corse verso il ciglio del tetto mentre Azra’il planava verso il bersaglio: era fantastico vederlo volteggiare per aria prima di stabilizzare il volo; lui diceva che gli rendeva la cosa meno ‘noiosa’, ma probabilmente era il suo modo per ribadire: SONO IL MIGLIORE! …e lo era davvero.
In realtà quella era la cosa che sapeva fare meglio, la cosa che più lo rendeva libero.
Dal bordo del tetto Filìppovna riusciva a fatica a distinguere le auto una dall’altra tanto apparivano piccole. Mise il visore per seguire meglio Azra’il * forza… dritto così…* .
Un grido squarciò quei brevi attimi di silenzio:
-ce n’e’ un altro !!!-dannazione quanto e’ veloce! – era Nakir dalla postazione fissa; -dovrebbe essere proprio sopra di voi !-.
– Filìppovna !! atten… omiodio ‘ Sabaēl non riuscì ad avvertirla in tempo. Troppo tardi.
Il secondo noiser comparve all’improvviso, dal nulla. Lei ebbe appena il tempo di voltarsi.
Il corpo reagì d’istinto, un rapido scatto, una mano davanti al volto, un passo indietro… Uno di troppo.
Il senso di vuoto allo stomaco la colse prima ancora che realizzasse di stare precipitando: per un breve attimo le sembrò che il tempo rallentasse fino a fermarsi, i muscoli come paralizzati e un solo pensiero: * NO !!! *. Un’ abisso nerissimo di panico le esplose nella testa, mentre il tempo riprendeva a scorrere normalmente e ogni cellula del suo corpo gridava nella sua lingua chimica quello stesso NO, sovraccaricando la sua mente di terrore. Stava per morire e ne era cosciente.
Non era tanto il dolore dell’attimo prima della morte che la terrorizzava.
Era l’ irreversibilità della cosa.
Aprì braccia e gambe per rallentare la caduta; anche se non sarebbe servito a nulla, era l’ultima cosa che era ancora in grado di fare per applicare la sua volontà alla gravità.
Osservava impotente le finestre del palazzo di fronte che acceleravano verso l’alto, sempre più veloci. * Cosa posso fare’ cosa posso fare’ cosa posso fare’ cosa… *.
La risposta arrivò perentoria, chiara e spietata da un remoto e razionale angolo della sua mente. Chiuse gli occhi.
Sentiva l’aria frustarle i capelli mentre cominciava ad accettare l’idea di rinunciare a tutto quanto.
Poi una visione. E un’ altra. E un’ altra ancora: visioni del futuro, immagini di altre vite, in un altro tempo, una vita che non avrebbe potuto avere mai più. Immagini che sembravano fatte della stessa materia dei sogni. Un flash improvviso le spalancò gli occhi.* cazzo!! maledizione!! devo fare qualcosa!!… non voglio!! non adesso !! non così !! accidenti !! accid *
– UHNGH… ‘ non riuscì a finire il pensiero.
– presa !!! ‘ una voce sbucò fuori dal nulla.
Due costole non ressero all’impatto, ma rimasero al loro posto. Il dolore non vinse la sorpresa di capire quello che le stava accadendo.
Per un’ attimo si convinse di stare sognando: era successo tutto troppo in fretta, tutto così assurdo, tutto fuori dal suo controllo…Tornò in sé grazie alla fitta al fianco destro.
Non era un sogno!
Una figura scura la stava tenendo stretta a sé, quasi in un’ abbraccio paterno: la tuta alare, un visore telescopico, il passamontagna nero in spandex.* Non è Azra’il… ma chi diav…’!’ *
Filìppovna guardò in su: le finestre del grattacielo stavano continuando a schizzare via verso l’alto. E poi successe…
La vela si aprì come un paio d’ali sopra di loro. Fu come tornare alla vita. Meraviglioso.
Ancora qualche secondo e avrebbero toccato terra, dolcemente.
La misteriosa figura estrasse dalla tuta un oggetto a lei familiare, senza dire una parola: era un flasher al magnesio! Erano gli stessi che usavano anche loro dopo ogni lancio per coprirsi la fuga con il furgone.
Capì le intenzioni dello sconosciuto e riuscì a selezionare il visore in modalità ‘Supernova’ appena in tempo. Probabilmente non avrebbe mai saputo nulla di quel tizio a cui doveva la vita.
Giunsero al suolo in un mare di luce, era come stare sott’acqua: i contorni sfocati, un’ atmosfera surreale e ovattata. La lasciò dalla presa possente. Era un uomo. Ne aveva la conferma ora. Lo osservava di spalle mentre lui recuperava in fretta la vela e si allontanava rapidamente; quella figura senza volto aveva qualcosa di familiare, o forse era uno scherzo dello shock.
-Mi hai salvato la vita! Dimmi chi sei…- gli disse immobile con voce piena di gratitudine.
Lui si voltò accorgendosi che i flasher non avevano avuto effetto su di lei.
-Non andartene così- ripeté.
La riconobbe dal modo in cui muoveva le labbra.
* …Non andartene così… * quelle parole gli risuonarono nella mente come un’ eco lontana.
Avevano già vissuto quella scena, in un altro tempo, che ora sembrava richiudersi su sé stesso. Gli si strinsero i polmoni, poi lo stomaco, e non riusciva a credere che gli venisse offerta una seconda possibilità. Non credeva nelle seconde occasioni. Rimase in silenzio.
L’effetto del flasher si stava esaurendo e lei si tolse il visore scoprendo quegli occhi pieni di vita che lo fissavano con ammirazione.
-Fammi almeno vedere il tuo volto…- chiese rassegnata.
La figura scura avvolta di luce rimase a fissarla in silenzio a pochi passi di distanza.
Si portò lentamente una mano al volto per togliersi passamontagna e visore mentre le pupille di lei si dilatavano piano. Ancora pochi istanti e quel volto le sarebbe rimasto impresso nella mente per sempre; decise che avrebbe potuto anche fare a meno di sapere il suo nome, ma voleva vederlo in viso nella speranza di poterlo rincontrare, un giorno.
Un lampo. La luce bianca e accecante avvolse tutto, mentre quattro parole pronunciate a bassa voce squarciarono il silenzio.
Appena il tempo di chiudere gli occhi e riportare il visore al volto e la figura davanti a lei era già sparita.
Nakir la trovò in ginocchio sull’ asfalto, a capo chino sotto la pioggia.
– Il bioscan dice che hai due costole rotte… ma non dislocate. Forza tirati su, reggiti a me, dobbiamo andarcene da qui-
Lei alzò la testa.
Nakir non l’aveva mai vista piangere.
-Il dolore deve essere insopportabile…- disse lui imbarazzato.
-Lo è…- rispose lei.
-Lo è-
Il led blu cominciò a lampeggiare mentre i semafori riprendevano a fare il loro dovere. Alzò lo sguardo al cielo, mentre la pioggia gli rigava il viso e due gatti ai suoi piedi si contendevano degli avanzi da sotto il bidone dell’ immondizia, in quel vicolo stretto. Quello era il suo posto. Meritava di rimanere lì, pensò.
– Con questo siamo pari…-
FINE