Uno stupido programma
Il nuovo computer aveva praticamente riempito la stanza circolare del livello inferiore, era una sfera di un nero profondo e lucido del diametro di circa dieci metri. Anche se quello non era il suo campo, Tyle era stato appresso ai tecnici per il periodo dell’installazione, e a giudicare dal loro rapporto la cosa li aveva decisamente scocciati. Aveva fatto domande sul funzionamento, sulla struttura, e aveva seguito con attenzione tutte le procedure di interfacciamento.
A vederlo dall’esterno sembrava un’entità omogenea, ma lui sapeva bene che al suo interno c’erano due parti distinte e cooperative. Una semisfera era la punta di diamante della tecnologia elettronica nippo-coreana, un super processore al silicio, mantenuto freddo da un groviglio di tubature in cui scorreva dell’azoto liquido. L’altra parte era più misteriosa, e perfino i tecnici sembravano saperne poco o niente. Dalle voci che circolavano nei laboratori, quella semisfera era un cervello sintetico, prodotto in UE, “l’unica vera alternativa al silicio” questo era lo slogan.
“UE, che strano!” rifletté,
doveva ancora abituarsi all’idea che da qualche anno l’Unione Europea era divenuta
il centro della tecnologia occidentale. Ma d’altronde gli USA dopo il Big-One
avevano avuto altro a cui pensare.
Non gli era stato possibile avere ulteriori informazioni al riguardo, ma sapeva
che la cooperazione delle due unità faceva viaggiare dannatamente bene la simulazione.
Già,
una simulazione. Quello era il programma a cui Tyle aveva dedicato un terzo
della sua vita. Lui era stato uno tra primi ad essere accettato nel team del
professor Ragu, ma all’inizio non sapeva che la loro ricerca fosse top secret,
e che i laboratori
si trovassero nel sottosuolo di una zona non precisata dell’antartide. In un
secondo tempo gli venne spiegato che il ghiaccio, presente in abbondanza, favoriva
il raffreddamento delle apparecchiature. “Al diavolo le apparecchiature!” pensò,
odiava la bassa temperatura dei laboratori e poi il suo lavoro poteva svolgerlo
benissimo da casa, o magari da una bellissima spiaggia soleggiata.
“Sicurezza ed efficienza” gli avevano detto, ma il tutto aveva un sapore di costrizione.
Raccolti i tabulati dalla scrivania color cenere, scese giù lungo le strette scale che costeggiavano l’ampia sala centrale. Raggiunto il livello dei dormitori, si precipitò alla porta di Vladimir ma a quel punto esitò. Aveva fretta, ma non poteva di certo svegliarlo in quel modo! Strinse i denti, e desistette dal proposito. “Domani mattina mi sentirà” pensò mentre apriva la porta del suo alloggio.
Gli alloggi erano delle piccole stanze rettangolari, arredate in maniera
scarna e decisamente poco ospitali, e a Tyle piaceva pensare che fossero
così per costringere gli occupanti a servirsene il meno possibile. Si sdraiò e
chiuse gli occhi, poteva vedere il codice che aveva scritto poco prima
fluttuare nel buio. A poco a poco i simboli si spensero, e lui preso sonno.
Sognò la sua vita passata, un bel lavoro anche se mal retribuito, una bella casa nel sud della Spagna, mare e sole. E poi apparve Nicolette, bella come quando l’aveva conosciuta, con quella sua solita aria allegra. In quel periodo portava i suoi lunghi capelli legati dietro al collo. Oltre che il suo grande amore, era stata un ottimo antidoto alla sua ossessiva razionalità.
Ma le cose ora erano diverse. Da circa sette mesi si sentivano telefonicamente
quando le autorità lo permettevano, e soprattutto su linee sicure e controllate.
Tutto a causa della sua voglia di andare oltre, di sperimentare sempre
al limite.
Il giorno successivo, si alzò in perfetto orario, fece una doccia calda (fortunamente!) e allo specchio diede una accorciata alla sua barba. Di corsa si vestì e salì alla sala mense.
– Ciao Jim! come va’
– Ciao Betty, stamattina ci siamo alzati presto vero’
E così via, le solite
frasi di circostanza. La verità è che in quell’isolamento si perdeva facilmente
la sensibilità sociale,
e ci si buttava unicamente sul proprio lavoro. Ma non era questo in fondo
quello che volevano i dirigenti del progetto’ Delle perfette macchine da
ricerca. Sedette al solito tavolo, fece scorrere il vassoio sul piano di
acciaio e trangugiò la colazione in breve tempo. Come sempre.
In tutto c’erano 83 persone all’interno della struttura, un po’ di ingegneri,
qualche tecnico, fisici, matematici, qualche burocratico in amministrazione,
e quindici persone addette alle pulizie e al vitto. In quei momenti c’era un
via vai continuo, ma non appena trascorsa la mezz’ora dedicata alla colazione,
tutti raggiunsero i loro posti ed i corridoi divennero deserti. Tutti tranne
Tyle. Lui aveva un conto in sospeso.
Percorse deciso la passerella che lo portava al di là della sala centrale e bussò alla porta dell’ufficio di Vladimir. – Avanti – disse una voce dall’interno, con profondo accento russo. Aprì la porta e lo vide dietro la scrivania con dei fogli volanti tra le mani, equazioni probabilmente. Non gli prestava attenzione, tanto era preso dai suoi studi.
– Salve Vladimir – si affrettò Tyle
– Oh, Salve Tyle, tutto bene’ –
A stento Tyle riusciva a nascondere la rabbia. – Credo ci sia qualche problema nelle tue equazioni – disse
– E’ Impossibile! – rispose Vladimir visibilmente sorpreso dalla cosa.
Il russo era il fisico addetto alla realizzazione delle equazioni atomiche e sub-atomiche della simulazione. E anche se a Tyle non piaceva ammetterlo, i due si assomigliavano molto: stesso senso del dovere, stesso impegno nel lavoro.
Non era un tipo molto alto, ed aveva dei baffi molto folti. I grossi occhiali che portava gli davano un aspetto ancora più serio. Ma a Tyle sembrava un tipo buffo, uno di quelli che fanno finta di avere il controllo della situazione, in qualunque circostanza.
– Chiudi la porta – gli chiese gentilmente Vladimir.
– Vedi, non credo ci sia un problema con le equazioni, la sim…
– Aspetta – lo interruppe Tyle – io credo ci sia qualcosa di impreciso, qualcosa che sfugge alle tue equazioni.
Vladimir si piegò all’indietro sulla sua sedia di pelle, e scuotendo leggermente la testa disse:
– Le equazioni sono state approvate dagli altri fisici e dal professor Ragu. Se hai qualcosa da protestare rivolgiti a loro. Ma non credo che staranno a sentire le ragioni di uno stupido programma.
Visibilmente disturbato dal sarcasmo di quest’ultima frase Tyle lasciò l’ufficio senza neanche salutare.
– Che stronzo! – disse a bassa voce.
Stando a quello che il professor Ragu gli aveva detto, Vladimir era uno veramente in gamba, uno tra i migliori. Aveva superato brillantemente tutti gli esami della facoltà di Fisica dell’università di Mosca, e non appena saputo della creazione della Organizzazione Mondiale della Ricerca aveva fatto subito domanda. Ed ora era lì in uno dei tanti laboratori semi-segreti dell’antartide. Un fisico teorico, proprio quello che ci voleva per la loro ricerca.
Il loro gruppo si occupava di condurre studi sulla creazione di un nuovo tipo di generatore d’energia, capace di creare energia dalla fusione di particelle di materia con particelle di antimateria, o qualcosa del genere. L’idea era stata del professor Ragu, e quindi ha lui spettava il compito di formare il team.
Tyle decisamente era un ottimo programmatore scientifico, ed aveva partecipato già a diverse ricerche. Ora si occupava della visualizzazione della simulazione, doveva dare un senso a tutte quelle equazioni che fisici e matematici tiravano fuori dalle loro menti surriscaldate.
La ricerca non era andata molto avanti, i prototipi (se così si potevano chiamare) di generatori realizzati finora avevano un rendimento pessimo, e per questo erano state introdotte nuove menti nel progetto.
Poiché l’energia in ballo era enorme (decine di GigaWatt), non era possibile un test vero a quello stadio. Quindi il progetto ora andava avanti solo come simulazione.
Vladimir probabilmente aveva ragione, il problema della simulazione non era
la precisione delle equazioni fisiche, ma una errata teoria del generatore.
Tyle però teneva molto a quella precisione. Entrò nell’ufficio e si sedette.
Un’occhiata al quadretto di Nico sulla scrivania, uno stupido sorriso quasi
meccanico, e poi a capofitto a migliorare il programma.
La sera, appena finito il lavoro ordinario, fece una cena veloce e rientrò nel suo ufficio. Riprese a lavorare al suo “progetto alternativo”, così gli piaceva definirlo nei suoi pensieri. Non era una cosa tanto lecita, ma a quell’ora GEMINI-1 era completamente a sua disposizione, una cosa impensabile persino nelle pause settimanali.
Spense le luci dell’ufficio come al solito, e fece partire di nuovo il programma. All’improvviso una luce apparve sul grande schermo alla parete. Pochi secondi dopo una serpentina di nuvole sfocate si sviluppava in tutte le direzioni. La luce cominciava pian piano a spegnersi, ma ecco che da alcuni punti dello schermo cominciavano ad apparire delle timide luci vibranti.
Qualche secondo dopo però, lo schermo gradualmente divenne completamente
nero:
– SIMULAZIONE TERMINATA – disse una voce metallica.
– Dannato computer! – imprecò guardando verso il corridoio, quasi potesse
vedere quella enorme sfera nera.
Le equazioni a cui la simulazione si appoggiava erano le stesse del generatore. Diversi fisici ci avevano messo le mani e le cose erano migliorate molto, ma non tanto da superare quella fase iniziale.
Aveva cercato di porvi rimedio da solo, ma senza le corrette equazioni la cosa non avrebbe funzionato. E se ne stava lì come un beota a provare e riprovare la simulazione. C’era sempre qualcosa di diverso, ma tutte le istanze terminavano tristemente allo stesso modo.
Il giorno dopo si recò nuovamente da Vladimir, stavolta deciso ad usare un tono più amichevole. In fondo il fisico russo era l’unico aggancio che aveva per cercare di risolvere la questione senza essere buttato fuori dal progetto.
– Vladimir, mi dispiace per quello che ti ho detto ieri… – iniziò, ma
Vladimir lo anticipò.
– Non ti preoccupare, posso capire le tue ragioni, anch’io tengo molto
al mio lavoro…
Tyle non nascondendo il suo stupore continuò
– Darai una nuova occhiata a quelle equazioni’ – e poi – Le equazioni
sono molto complesse. Non mi dire che l’idea di un possibile errore non ti
abbia mai sfiorato’
Il russo rispose – Io le ho solo migliorate, la base delle nuove equazioni è opera del professore. Lui ha deciso ciò che andava trascurato e ciò che era più importante…
Tyle continuò – Allora non credi che qualcosa che è stato trascurato potrebbe
rappresentare la svolta’
Vladimir non aveva mai realmente creduto in quella possibilità, ma la continua
insistenza dell’ingegnere, lo stava costringendo a riflettere – Non credo
– disse.
– Ma come fai ad esserne certo’ Le equazioni energetiche potrebbero essere erronee, o magari la precisione delle equazioni relative all’antimateria è insufficiente
– azzardò Tyle.
Ignorava completamente anche solo le basi della teoria dell’antimateria, ed il suo era praticamente solo un bluff, ma la questione aveva insinuato un tarlo nella mente di Vladimir, che ora sembrava molto più concentrato del solito.
Non poteva fare altro… – Ora devo andare – disse, salutò e lascio il
fisico con i suoi pensieri.
I giorni passarono come al solito, nella routine. Però dopo circa un mese
di silenzio, Vladimir si presentò all’ufficio di Tyle. Era visibilmente eccitato,
ma Tyle quasi per punizione lo fece aspettare fuori per buoni cinque minuti
– Non posso interrompere ora, puoi ripassare tra un po” – gli aveva detto.
Ma il russo era rimasto ad aspettare lì fuori, nel corridoio. Lo fece entrare
e lo fece accomodare. Tirò ancora un po’ la corda, ignorandolo volutamente
e facendo finta di essere distratto dal lavoro, ma poi
– Non crederai a quello che ho scoperto Tyle! – Vladimir non riuscì a trattenersi – Ho guardato e riguardato quelle dannate equazioni senza risultato per molti giorni, ma poi ho avuto la scintilla. Le equazioni trattavano in maniera imprecisa le interazioni più complesse
tra gli atomi pesanti, capisci’
– Sinceramente non molto – rispose
– Le equazioni gestivano molto bene gli atomi più leggeri, ma divenivano instabili già con
l’ossigeno! Ho ritoccato tutta la parte riguardante le interazioni elettroniche
Ma Tyle già da un po’ non lo ascoltava più, nella sua testa c’era solo un pensiero “atomi leggeri, idrogeno, elio, litio… forse, ma no…”. Ritornò alla realtà
– E credi che la simulazione ora possa funzionare’ – ,
– Si Tyle, ne ho discusso con gli altri, e sembra proprio che quello fosse l’errore da stanare. –
Non stava più nella pelle.
– Congratulazione Vladimir! Non rimane altro che inserire le nuove equazioni
e vedere cosa succede. Inizierò subito!
Non appena il fisico se ne andò, Tyle cominciò il suo lavoro. Non era molto ottimista sulla soluzione del problema, ci aveva creduto già troppe volte.
Il giorno dopo, le equazioni erano integrate nel sistema. Il professor Ragu saputa la cosa, aveva stabilito un test per le quindici. Tyle passò qualche ora con i tecnici ad interfacciare GEMINI-1 con lo schermo della sala proiezioni.
Alle quindici erano tutti in sala proiezioni. Dalle loro facce si capiva che quella poteva, anzi doveva, essere la svolta. Vladimir era in seconda fila, mentre Tyle, uno degli ultimi a sedersi, si posizionò in ultima fila. I fisici avevano le loro equazioni, lui aveva solo quello. I test erano l’unico momento in cui il suo lavoro si rendeva tangibile.
Ci un fu un solenne conto alla rovescia, e Tyle nel buio quasi trattenne il fiato. Poco dopo venne dato il via.
Progressivamente l’unità fotonica di GEMINI-1 cominciò a lavorare, ed una serie di scie luminose si resero pian piano visibili sulla superficie più esterna. Erano le interazioni degli opto-neuroni, che stranamente generavano anche un lieve ronzio.
La simulazione non era un gran che, almeno visivamente. Per semplicità era
svolta in una pianura infinita. Un generatore delle dimensioni di una casa
era posizionato a terra e tutto intorno c’erano una miriade di sensori (temperatura,
radiazioni e così via…). Tyle ricordò ancora quella volta che il generatore
aveva risucchiato tutto il paesaggio, come fosse un buco nero. Fortuna che
non era la realtà!
Il tempo scorreva ed il generatore cominciò a sviluppare
progressivamente un quantitativo enorme di energia, molto più grande di quello
che la pila atomica che alimentava GEMINI-1 fornisse. C’erano diversi sbalzi
nell’erogazione, ma dopo un po’ la reazione si era stabilizzata. Gli spettatori
erano ammutoliti. Ad un certo punto però, nel buio qualcuno urlò
– Ce l’abbiamo
fatta! – ed altri lo seguirono.
Nel caos generatosi si udì una voce
– Signori… signori! –
Tutti si azzittirono. Le luci si accesero ed
il professor Ragu davanti allo schermo disse
– Sono molto contento che la simulazione
sia andata bene, ma ci sono molti altri test da eseguire, e non possiamo arrenderci
proprio ora. Per oggi basta con il lavoro, ma da domani dovremmo darci da fare.
Avete svolto un ottimo lavoro, congratulazioni!
C’era un’aria di felicità, qualcosa che non si vedeva da molto. Tyle però era decisamente distratto, c’era qualcosa che lo rendeva assente.
– Hai visto, Siamo sulla strada giusta! – disse Vladimir dopo avergli
messo una mano sulla spalla.
– Ottimo lavoro. Avevo veramente dubitato della cosa, ma sono contento di
essermi sbagliato – rispose Tyle, ed insieme uscirono dalla stanza.
La serata passò in un’aria di festa. Vennero cucinati i piatti della domenica, e per l’occasione vennero tirate fuori delle bottiglie di vino rosso d’annata, dell’esistenza delle quali molti erano allo oscuro. Fecero un po’ di baldoria e poi a notte inoltrata se ne andarono tutti a dormire.
Tyle dovette aspettare un po’ prima di andare nel suo ufficio, lavorare in
un giorno di festa sarebbe sembrato strano a chiunque, e lui non voleva di
certo attirare l’attenzione. Il suo progetto era stato rifiutato dal team di
ricerca, e prima di rivelare qualcosa doveva tirare fuori dei risultati da
sbattergli in faccia. A luci spente, come al solito, si mise a fare qualche
ritocco al programma, qualche aggiustamento qua e là, giusto per farlo girare
con le nuove equazioni. Dopo circa un’ora era pronto. Avviò la simulazione.
La solita esplosione di luci, sempre uguale, ed allo stesso tempo sempre diversa nei dettagli. Il chiarore diffuso cominciò a spegnersi, ma in alcune zone la luminosità andava aumentando. Con sua grande soddisfazione il tanto temuto blocco non ci fu.
“Stupendo” pensò, mentre il chiarore cominciava ad addensarsi. Le equazioni erano perfette e la simulazione procedeva molto velocemente, sfruttando tutto il potere di calcolo di GEMINI-1.
Ora vedeva in lontananza moltissimi puntini luminosi. Da quella distanza non era possibile distinguere altri dettagli, per questo mosse frettolosamente il mouse. La sua curiosità era pari solo al terrore che la simulazione si bloccasse di nuovo.
Si avvicinò ad una zona molto luminosa, e notò qualcosa che somigliava molto ad una galassia a spirale. Rimase ad ammirarla per qualche minuto, quella visione giustificava da sola tutto il tempo che aveva dedicato al programma. Giocherellando con il mouse si imbatté in un sistema planetario, cosa non molto difficile data la densità di stelle.
Il sistema era composto da due stelle molto luminose e da un planetoide che sembrava roccioso. Il loro movimento era molto veloce ed a stento riusciva a seguirlo. Così, con una sequenza di tasti, rallentò la simulazione.
Aveva pensato diverse volte a quel momento, ma non aveva fantasticato più di tanto. Ora però era curioso di vedere quanto fosse preciso il suo programma.
Lanciò il programma di ricerca, e cominciò con molecole semplici: anidride carbonica, ossigeno, acqua. Durante la ricerca la simulazione si fermava, mostrando unicamente un fermo immagine. Aveva progettato la cosa apposta, per evitare che durante la ricerca le molecole mutassero.
I tentativi fallirono, le molecole erano praticamente ovunque.
Per niente affranto, con la curiosità che cominciava ad oscurare la ragione, lasciò perdere le ricerche. Con rapidi movimenti della mano si spostava nell’ambiente simulato. Passava di stella in stella alla ricerca di qualcosa che avrebbe potuto riconoscere.
Dopo aver percorso centinaia di parsec virtuali, arrivò ad un sistema con una stella e tre pianeti. Uno dei tre attirò la sua attenzione, aveva un’atmosfera! L’attraversò e raggiunse la superficie. Un forte vento la spazzava, il pianeta sembrava un enorme deserto. Per un attimo aveva sperato di vedere qualcosa, qualche segno di vita. ‘Impossibile’ ragionò.
Ora però aveva capito esattamente cosa stava cercando.
Timidamente, quasi imbarazzato per la sua idea assurda, avviò una ricerca
e digitò una sequenza della molecola di DNA. Trascorse qualche secondo interminabile
e…
– Incredibile!
La ricerca aveva dato alcuni risultati nella galassia
vicina. Ingrandì su uno di essi, un piccolo pianeta illuminato da una grande
stella. Avvicinò ancora e notò atmosfera, acqua e vegetazione! Non poteva
credere a quello che vedeva. Arrivò alla superficie, questa volta molto più familiare.
C’era un grande mare e qualche isola. Scorrendo la costa notò delle tracce
sulla sabbia. Le seguì e scorse qualcosa che strisciava sul terreno.
Sembrava un enorme rettile…
Si sdraiò all’indietro sulla comoda sedia,
– Uno stupido programma! – disse ad alta voce, prima di accelerare di nuovo
la simulazione.