Cloud Atlas: La parola a David Mitchell!
METTERE PAROLE IN BOCCA AD HALLE BERRY
Di David Mitchell
‘Allora, cosa si prova” è la domanda che senti quando il tuo libro porta a termine la lunga scalata dal purgatorio della produzione verso il grande schermo. Bé, prima di tutto c’è un effetto principale: gli attori recitano dialoghi che tu hai scritto anni fa e tutte quelle persone inesistenti ora sono reali. Riescono a provare ‘vampate’ d’umorismo o di minaccia che non avevi mai individuato, e presto tutti i ricordi di come avevi immaginato inizialmente il personaggio, prima di sapere quale sarebbe stato l’attore che lo avrebbe impersonato, si fanno strada con forza per sentenziare la loro dipartita.
Per un commediografo o uno sceneggiatore questa è normale amministrazione, ma la prima lettura preliminare della sceneggiatura di ‘Cloud Atlas’ rimarrà per sempre nella mia memoria. Con tre o quattro attori impossibilitati a prendervi parte, i registi del film (Tom Tykwer e Lana ed Andy Wachowski, che hanno anche redatto la sceneggiatura) hanno ripartito i ruoli rimanenti. Mi sembrava scortese non mettermi a loro disposizione. Non prendevo parte ad una situazione simile a quella di un gruppo di lettera sin dalla mia classe di Inglese al liceo, ma anziché ritrovarmi con i miei amici di classe diciassettenni a sgobbare su ‘Passaggio In India’, stavolta mi sono ritrovato con Tom Hanks, Halle Berry, Hugh Grant e Jim Broadbent che recitavano versi che suonavano misteriosamente familiari. L’intera esperienza mi ha dato un’impressione simile a quella di ritrovarsi Gandhi che gioca a ‘Forza Quattro’ col tuo idraulico nel sottoscala. Non erano tanto gli elementi di scena, quanto la loro giustapposizione ad essere surreale.
Ben presto ti rendi conto d’affondare, subendo un mutamento da ‘Creatore’ a semplice persona che ha scritto il romanzo originale. Immagino che questa sensazione dipende da come la senti e da come vivi l’adattamento cinematografico e devo dire che non ho mai provato così tanta ansia per questo settore. Ho incontrato i tre registi nel 2008, ed il loro progetto di mettere in primo piano la questione delle ‘anime trasmigranti’, con gli attori che avrebbero interpretato ruoli multipli (ogni ruolo diventa come una sorta di stazione secondaria in quel viaggio karmico dell’anima) mi ha colpito per la sua ingegnosità. Erano inevitabili alcuni cambiamenti nella trama e per i personaggi, per fare in modo che i sei mondi del libro potessero essere convinti ad entrare in un container sotto forma di pellicola: gli affari di cuore tra (l’adesso) superato Zachry e Meronima alle Hawaii post-apocalittiche, per esempio, o l’epilogo di Cavendish, che appare nel film ma non nel libro. Inoltre, la struttura a forma di matrioska del romanzo è divenuta più simile ad un mosaico (non puoi infatti chiedere ad uno spettatore di iniziare a vedere un film per la sesta volta dopo cento minuti).
Ogni parte della sceneggiatura del film ‘Cloud Atlas’ che si è differenziata dal romanzo ‘Cloud Atlas’ (titolo italiano ‘L’Atlante Delle Nuvole’, ndt.), è avvenuta per motivi sensati, che mi hanno più impressionato piuttosto che seccato (durante la lettura preliminare, mi ero seduto vicino a Lana Wachowski, e quando un verso si è meritato una risposta particolarmente forte, le ho sussurrato: ‘Era uno dei miei versi o uno dei tuoi” Alla fine ritengo che si sia concordato sul 50:50.) Ad ogni modo, gli adattamenti cinematografici dei romanzi sono soggetti al fallimento perché o sono troppo imprecisi o sono troppo precisi: perché mai sforzarsi così tanto per produrre un audiolibro con le immagini’
La produzione! La settimana che ho trascorso sul set, a Berlino, nel dicembre 2011, mi ha dato accesso ad un mondo di cui avevo solo sentito parlare ma mai visitato prima. Guarda, c’è un’unità di riciclaggio cloni in un punto in cui non c’era 60 minuti fa; attenzione, quello strato della montagna di fibra di vetro ha bisogno di una sistemata; cosa’ tutte le porte scorrevoli high-tech presenti nei film di fantascienza sono fatte di legno compensato dipinto’!
Ho riempito un Moleskine (una marca di taccuini, agende, guide da viaggio, quaderni e album prodotti dalla Moleskine Srl, una società italiana con sede a Milano, ndt.) con appunti presi dalle interviste informali tenutesi con una serie di professionisti che non avevo mai incontrato nella mia solitaria vita di romanziere irlandese (versione originaria: ‘solitary-ish’, fusione tra ‘solitary’, cioè solitario/a, ed ‘Irish’, cioè irlandese, ndt.): insegnanti di lingue, script editor, costumisti e scenografi, animatori grafici, avvocati dell’industria del divertimento, fornitori di cibo e bevande, comparse, un progettista di veicoli futuristici e gli stuntmen. Ho anche acquisito un accresciuto rispetto verso gli attori: non c’era alcun effetto generato al computer nella scena dell’acqua che sommerge fino al collo Halle Berry, e David Gyasi, che interpreta un abitante di un’isola di Moriori (gli abitanti nativi, oramai estinti, delle Isole Chatham, situate ad est della Nuova Zelanda, ndt.) in grado di parlare inglese nel XIX° secolo, che passava da un perfetto, orecchiabile accento Moriori, al caraibico ed in seguito all’africano con la stessa facilità di un uomo che cambia cappello. Grazie al mio cameo nel film, sono venuto a conoscenza anche di quante ore si passano sul trailer per ogni minuto sullo schermo. Quindi non c’è da meravigliarsi se alcuni attori diventano voraci lettori.
Star dietro ai Wachowski e Tykwer per un paio di giorni mi ha spinto a comparare la mia passione nello scrivere romanzi con l’operazione relativamente vasta della cinematografia. Può darsi che dove le righe di testo si dirigono verso l’ambiguità, al contrario nel film si tende alla specificità. Un romanzo contiene tante versioni di sé stesso, quante sono le persone che lo leggono, mentre invece la versione finale di un film, vaporizza ogni altra maniera in cui poteva essere realizzato. La cosa divertente è che nemmeno l’autore è immune a questa colonizzazione da parte del film. Quando cerco di rievocare nella mente come avevo immaginato, prima del film, il personaggio del editore a pagamento, Timothy Cavendish, tutto ciò che vedo ora è il volto di Jim Broadbent che diabolicamente mi sorride di rimando e, quando accade, mi fa piacere.
Fonte: www.nytimes.com
Traduzione: Traduzione: di Mario Conoscitore aka MariuxReloaded di whatisthematrix.it