Il giocatore, il rappresentante e lo scienziato
In quel momento li poteva vedere con occhi diversi. Vedeva come al rallentatore il numero di pallini presenti su ogni faccia di entrambi i dadi muoversi seguendo specifiche regole dettate dalla gravità, dalla spinta vettoriale, dalle asperità del tappeto. In parole povere dal destino.
Li vedeva come mai aveva visto null’altro. Ne poteva prevedere i pensieri. Si perché quei dadi dovevano essere vivi come lo era quel tavolo. Gli parlavano in un linguaggio che non sapeva di conoscere e che non pensava avrebbe mai potuto decifrare.
Non avrebbe neppure saputo farlo a mente fredda se è per questo. Se si fosse fermato un attimo a riflettere non ci sarebbe mai arrivato. E comunque poco gli importava. Era certo che un uccello non si domandasse mai come facesse a volare. Lo faceva e basta.
E lui ora stava volando.
Sull’entusiasmo della folla, sugli sguardi attoniti dei controllori del casinò, sulla paura di perder tutto in un solo lancio. Volava anche su quella perché poteva vedere che non avrebbe perso. Se ne infischiava.
E quando il doppio numero usciva per l’ennesima volta, poteva cavalcarla quell’onda di esultanza che gli cresceva dentro e che esplodeva nella sala. La poteva sentire e ne traeva più forza. Più illuminazione.
Eh si, pensava, stavolta me la faccio proprio la macchina nuova’
‘Non ci siamo’.
Chi l’avrebbe mai detto’ Promosso a capo gruppo nel giro di poche settimane. I risultati stavano andando oltre ogni più rosea aspettativa.
Certamente qualcosa doveva essergli successo quel giorno cadendo dal letto. Aveva preso una grossa botta alla testa perdendo i sensi per più di due ore. E col grosso bernoccolo di poi, quasi una post sbronza, aveva ricevuto un’ammonizione ufficiale per il suo ennesimo ritardo dal suo capo.
Chi l’avrebbe mai detto che proprio quel giorno sarebbero iniziate le sue fortune’ Un cliente dietro l’altro. Nessuno gli diceva più ‘no’, ‘non saprei’ , ‘ne devo parlare con mio marito”.
Un’assicurazione dietro l’altra, venduta come se stesse offrendo ai propri utenti la sola e unica salvezza, come potrebbe fare un guru con i suoi seguaci.
Prendete la mia mano e avrete l’illuminazione.
Rise fra se e se figurandosi con un turbante in testa in posizione di meditazione davanti a migliaia di persone adoranti che gli si prostravano senza sosta.
Quando trattava con un potenziale cliente, aveva come la sensazione di conoscerlo da una vita.
Era come se riuscisse a leggere nella sua mente ogni recondito desiderio, anche il più nascosto, le più profonde paure, le aspirazioni nella vita. Sapeva che la signora Morgan aveva da parte un po’ di soldi per una pensione aggiunta, sapeva che Dexter Olivard era intenzionato a comprare una nuova casa, sapeva che la ragazzina sotto casa aveva subito cinque furti nel giro di pochi mesi, sapeva’
Lui sapeva e basta. Non se lo spiegava e dopo qualche giorno non gli importava saperlo.
La sia oratoria era diventata così convincente e il suo verbo così forbito che a malapena si riconosceva. Da dove attingesse tutte queste informazioni non ne aveva idea, ma era certo che trovandosi di fronte ad un potenziale cliente, sarebbe bastato guardarlo negli occhi per vederli pulsare, pronti a confessargli tutto. A lui bastava aprire la bocca ed ecco che le parole uscivano veloci una dietro l’altra, come uno sciame di insetti che abbandona in massa il rifugio, come un fiume in piena che è riuscito ad abbattere la diga.
Pochi minuti, uno sguardo compiaciuto, e la preda era sua. Non poteva scappare, non aveva scampo. E a quel punto con la sua mente vedeva il conto corrente aumentare di uno zero, e poi ancora di un altro.
Presto o tardi il suo capo sarebbe diventato il suo segretario’
‘No’.
Eccola. Aggiungo semplicemente 3 cc di ammoniaca e il gioco è fatto, pensò. Ma quale meraviglia la mente umana. Dopo anni, no, decenni di praticantato, la soddisfazione più grande era vedere l’intera comunità scientifica ridotta ai suoi piedi.
Sapeva di essere un genio incompreso. L’aveva sempre saputo. Ma per una ragione o per un’altra aveva vissuto all’ombra dei grandi nomi per tutto quel tempo, prigioniero dei vincoli imposti dalla sudditanza aziendale e da vecchi e oramai logori schemi di ricerca. Aveva subito l’oppressione dell’anzianità di menti ormai sorpassate, aveva pagato lo scotto per la sua ambizione.
Ma ora era tutto cambiato. Ora il suo pensiero era tanto fluido che non si doveva nemmeno sforzare di ragionare una volta in più del normale. Per risolvere un algoritmo gli bastavano carta e penna. Per trovare il composto giusto nemmeno doveva testarlo in un laboratorio.
Sentiva che la formula era quella e la scriveva.
Sentiva che l’incognita si risolveva con quattro algoritmi applicati alla stessa matrice e lo comunicava. Lo faceva con la stessa facilità con la quale un essere umano respira.
Oh si. Questa doveva essere l’onnipotenza.
Vedere e sentire tutto sotto un’altra forma. Anche fisicamente a volte. Gli sembrava che il fluido versato in una provetta fosse composto da numeri certe volte, o da parole. Era tanto facile allora.
Gli bastava leggere e il gioco era fatto.
Parlate ora se ne avete il coraggio. Avanti.
Non temo rivali. Nessuno mi può zittire adesso. Io comando. Io so.
Appoggiandosi alla scrivania con i piedi e alla poltrona con la schiena, poteva vedere sciami di assistenti volare da una parte all’altra del laboratorio. Ogni tanto si fermavano per chiedere un consiglio o per mostrargli qualche risultato. Lui sorrideva beffardo rispondendo ogni volta ‘ovviamente’, oppure ‘ci arrivi solo ora”.
Rifiutare tutte le offerte di lavoro, anche le più sostanziose economicamente parlando, era stato quasi un capriccio. Come dire ‘non ho bisogno di voi, ma voi di me’.
Preferiva crogiolarsi nell’incapacità degli altri, in qualunque campo scientifico, sentendosi odiato e amato come solo gli Dei si amano e si odiano.
Al momento giusto li avrebbe messi tutti al loro posto’
Dopo mesi e mesi ancora il risultato tanto atteso non arrivava.
Se qualcuno avesse potuto vederlo con gli occhi e sentirlo con le orecchie avrebbe visto un uomo di mezz’età, pressoché albino.
Abiti eleganti tutti bianchi, comodamente seduto alla sua console.
Se.
Perché non si trattava di un uomo ma di un potente programma.
E se fosse stato un uomo in quel momento lo si sarebbe potuto vedere storcere leggermente la bocca, in un appena accennato segno di disapprovazione.
Se.
Perché non era neppure un programma qualunque del mondo delle macchine.
E se fosse stato un uomo ad un certo punto l’attento osservatore avrebbe potuto sentirlo pronunciare qualche parola atona e priva di passioni proprie degli esseri umani.
‘Anche in questa versione è insita un’anomalia. Necessita quindi di ripristino e riprogrammazione’.
Se.
Perché era Il programma padre.
E se lo stesso osservatore di poco fa lo avesse potuto seguire nei suoi movimenti, avrebbe visto le dita agili e sottili correre lungo un’immaginaria tastiera. Inserire alcuni parametri, verificarne il reale setup e poi lanciare un’ultima istruzione.
RELOAD.