Matrix, fra relatività e causalità
La teoria della relatività viene formulata all’inizio del ‘900 da Albert Einstein (1879-1955). L’intento del celebre scienziato è quello di risolvere alcuni aspetti anomali delle leggi fisiche nel moto relativo, ma gli sviluppi successivi hanno condotto alla definizione di princìpi completamente estranei alla fisica tradizionale, come l’equivalenza fra massa ed energia, fra gravitazione ed accelerazione, fra spazio e tempo.
Le leggi della fisica classica erano fondate sui princìpi della meccanica (scienza che studia il movimento dei corpi) enunciati da Isaac Newton (1643-1727). La differenza fra la meccanica classica e quella relativistica scaturisce dal fattore introdotto alla fine del XX secolo da Hendrik Lorentz e George Fitzgerald. Tale fattore viene rappresentato con la lettera beta e dipende dalla velocità del corpo in movimento (v) nella seguente equazione:
dove c è la velocità della luce, pari a circa 300.000 km/s. In sostanza, contrariamente a quanto aveva postulato Newton, il comportamento di un corpo in movimento dipende dalla sua velocità. Per velocità “normali” il valore di beta è irrisorio per esser preso in considerazione. Di conseguenza la fisica relativistica (le cui basi sono state gettate dunque prima di Einstein) diventa concretamente significativa non tanto nello studio di ciò che accade sulla Terra, quanto negli studi astronomici o comunque quando si tratta di distanze o masse molto grandi (la fisica quantistica, al contrario, si occupa di distanze e masse molto piccole).
Gli esperimenti di Michelson e Morley alla fine del XIX secolo dimostrano che la velocità della luce appare la stessa in tutti i sistemi di riferimento inerziali (ad es. un treno che avanza a velocità costante su binari rettilinei e lisci e in cui non si avverte alcun sobbalzo) e non si verifica alcun aumento o diminuzione della stessa. In pratica siamo di fronte ad un nuovo principio naturale: quello della costanza delle velocità della luce.
Nel 1905 Einstein pubblica un articolo in cui, sulla base del suddetto principio, corregge le nostre idee di spazio, tempo e movimento. E’ la nascita della celebre teoria della relatività ristretta, che rivede il principio di relatività galileiana (secondo cui le leggi della fisica sono uguali in tutti i sitemi di riferimento inerziali), aggiungendo il principio di costanza della velocità della luce. Einstein sostiene che nessun oggetto dell’Universo può rappresentare un sistema di riferimento assoluto e universale. In realtà anche Newton è perfettamente conscio che “il riposo assoluto non può essere determinato dall’osservazione della posizione dei corpi nella nostra regione di spazio”. Cosa vuol
dire’ Per chi sta sulla Terra, una casa appare immobile. Ma per chi ci osserva dallo spazio, quella stessa casa appare in movimento.
La novità offerta da Einstein consiste nell’aver stabilito che la velocità di propagazione della luce rispetto a un qualsiasi osservatore è sempre pari a 300.000 km/s. Prendiamo un uomo che cammina per strada e viene sorpassato da un’automobile. Supponiamo che in quel punto della strada vi siano molte altre persone, alcune a piedi e altre in auto. Supponiamo altresì che procedano a velocità diverse, chi in una direzione, chi in un’altra. Se venisse emesso un raggio di luce dal punto in cui si trova questa gente, dopo che sull’orologio di ciascuno sarà trascorso un secondo, la luce si troverebbe a 300.000 km da ciascuno di loro, per quanto essi non siano più tutti nello stesso posto e si muovano a velocità diverse!!
C’è un solo modo di spiegare questi fatti ed è che il tempo venga influenzato dal moto. Non esiste più un Tempo Universale, ma una serie di tempi relativi ai singoli corpi. Ma se il tempo può esser influenzato dal moto, anche la massa può esserlo. Cosa significa’ Vuol dire (semplificando) che i corpi non esistono in quanto masse che si muovono all’interno di coordinate relative ad uno spazio e ad un tempo assoluti, ma esistono in quanto eventi che avvengono nello spazio-tempo. In soldoni passando da un sistema inerziale all’altro, lo spazio ed il tempo cambiano di conseguenza. Un punto è descrivibile rispetto all’osservatore A da 4 coordinate: x, y e z ne determinano la posizione nello spazio, t ne determina la posizione nel tempo; analogamente lo stesso punto avrà rispetto
all’osservatore B le coordinate x1, y1, z1, t1, dove t è diverso da t1! La “distanza” o “intervallo” fra due eventi può essere descritta attraverso una combinazione di intervalli di spazio e tempo. Un punto in movimento descrive nello spazio-tempo quadrimensionale una linea continua detta linea d’universo. La “distanza” o “intervallo” tra due eventi qualsiasi può esser descritta per mezzo di una combinazione di intervalli di spazio e tempo.
Mi rendo conto che il discorso non è semplice da assimilare e quasi impossibile da “visualizzare”, ma il buon Einstein non era un pazzo visionario. Le sue teorie sono state provate scientificamente. Ora torniamo a noi. Pazientate, che Matrix viene tra poco! 🙂
Le misure che adottiamo per descrivere i fenomeni fisici sono convenzionali. Pertanto, le coordinate che misuriamo scaturiscono da un giudizio che adottiamo in precedenza e che ci serve come “metro di paragone”. Se per misurare le coordinate usassimo un’anguilla viva che si contorce ininterrottamente invece di una riga millimetrata, che cosa accadrebbe’ Pensate che le nostre misurazioni sarebbero errate’ La distanza dalla testa alla coda dell’anguilla vale 1, dal punto di vista delle coordinate, qualunque forma assuma l’animale in quel momento. L’anguilla è continua e le sue contorsioni pure, per cui possiamo prenderla come unità di distanza per stabilire delle coordinate. A prescindere dalla continuità, il metodo di determinazione delle coordinate è convenzionale, quindi un’anguilla viva va bene quanto una sbarra d’acciaio.
Il fatto è che siamo abituati a pensare che per effettuare misure precise sia meglio usare una sbarra d’acciaio. Errore. La sbarra non ci dice niente di più di quello che non ci dica l’anguilla. A un osservatore che si trova in un determinato stato di moto, l’anguilla apparirebbe rigida mentre la sbarra sembrerebbe contorcersi di continuo. Ergo, non è che le anguille siano rigide: è che in realtà le sbarre d’acciaio si contorcono. Vi ricorda qualcosa’
BAMBINO: Non cercare di piegare il cucchiaio, è impossibile. Cerca invece di fare l’unica cosa saggia, giungere alla verità.
NEO: Quale verità’
BAMBINO: Che il cucchiaio non esiste.
NEO: Il cucchiaio non esiste.
BAMBINO: Allora ti accorgerai che non è il cucchiaio a piegarsi, ma sei tu stesso.
Le misure delle distanze e dei tempi non rivelano direttamente le proprietà delle cose misurate, ma i rapporti tra le cose e il misuratore. E il cucchiaio’ Ha ragione il bambino’
Possiamo esser certi della realtà che ci circonda’ Secondo le vecchie teorie, un pezzo di materia è qualcosa che persiste nel tempo e che non può mai essere in più di un posto a un momento dato. Ma se sostituiamo lo spazio-tempo allo spazio e al tempo, dobbiamo costruire il mondo fisico in modo diverso. Gli elementi costruttivi sono gli “eventi”, non i pezzi di
materia. Un evento non persiste e non si muove. Esiste per un suo breve attimo e poi cessa.
Se osserviamo un tavolo, il nostro senso comune ci fa immaginare che stiamo osservando un tavolo. Ma è verità o illusione’ Quando il nostro senso comune vede un tavolo, vuol dire che alcune onde luminose hanno raggiunto gli occhi. Questi ultimi hanno provocato alcuni accadimenti al nervo ottico, e questi a loro volta hanno provocato qualcosa nel cervello. Niente di tutto questo, però, ci può condurre al tavolo vero e proprio.
NEO: In questo momento siamo all’interno di un programma’
MORPHEUS: Abbastanza facile da capire… abiti diversi, spinotti nelle braccia e nella testa assenti, anche i tuoi capelli sono cambiati, il tuo aspetto attuale è quello che noi chiamiamo immagine residua di sé, la proiezione mentale, del tuo io digitale.
NEO: Questo… non è reale’
MORPHEUS: Che vuol dire reale’ Dammi una definizione di reale, se ti riferisci a quello che percepiamo, a quello che possiamo odorare, toccare, vedere, quel reale sono semplici segnali elettrici interpretati dal cervello.
Lo stesso senso del tatto che ci consente di toccare il tavolo, secondo la fisica moderna, altro non è che una perturbazione elettrica prodotta sugli elettroni e sui protoni dei polpastrelli dalla vicinanza degli elettroni e dei protoni del tavolo. Se qualcuno (una macchina’) provocasse nei nostri polpastrelli la stessa perturbazione in qualsiasi altra maniera (tramite Matrix’), avremmo la stessa identica sensazione nonostante l’assenza del tavolo. Morale della favola: tutto quello che succede in qualsiasi posto può essere valutato sperimantalmente, ma quello che succede dentro l’atomo è assolutamente inconoscibile. Un atomo è conosciuto tramite i suoi “effetti”.
L’effetto presuppone una causa. E il principio di causalità non va proprio a genio alla relatività. Scomodiamo il “nostro” Merovingio:
MEROVINGIO: Voi siete qui perché siete stati mandati qui. Vi è stato detto di venire qui e avete ubbidito. Del resto è così che vanno le cose. Sapete’ Esiste un solo principio costante, un solo principio universale ed è l’unica autentica verità. La causalità. Azione. Reazione. Causa… ed effetto.
Nel mondo fisico, il principio di causalità tanto amato dal Merovingio presuppone 2 fondamenti: 1) l’esistenza della materia, 2) il concetto di forza.
Per quanto concerne il primo punto, come abbiamo già visto, Einstein ha dimostrato che non possiamo esser certi dell’esistenza della materia in sé. Tutto quello che possiamo dire è che un certo gruppo di eventi si verificano in parti vicine dello spazio-tempo. Un osservatore giudicherà un elemento del gruppo precedente a un altro; un osservatore diverso giudicherà l’ordine di tempo in maniera diversa.
Ma Einstein non si accontenta di mettere in discussione la materia. La relatività abolisce di fatto il concetto di “forza”. La geometria euclidea, rappresentata da “linee rette” (dunque spaziali), è stata confutata e superata da Einstein, il quale introduce le cosiddette geodetiche, ossia linee “ancor più dritte” che non implicano soltanto lo spazio ma anche il tempo. Tutto il quadro è cambiato. La necessità di giustificare la gravità definendola come una forza che attrae i pianeti verso il sole risiede nella vana decisione di salvare a tutti i costi la geometria euclidea. Einstein, grazie alle sue geodetiche, dimostra che i pianeti girano attorno al sole non per via di una qualche misteriosa forza, ma perché questa è la cosa più semplice da fare tenuto conto della natura della regione in cui si trovano. Cosa significa’ Senza spingerci troppo oltre in discorsi lunghi e complessi, basterà interpretare (semplificando) che cosa intende il senso comune quando sostiene che un corpo ha un effetto su un altro corpo.
Bertrand Russell, nel suo libro “L’ABC della relatività”, fa una serie di esempi che ho trovato molto significativi. Supponiamo di entrare in una stanza buia e di accendere la luce: cambia la visione di ciò che si trova nella stanza. Tutto quello che si trova nella camera è visibile in quanto riflette luce elettrica. La luce è il centro dal quale emanano i “cambiamenti”. Quando l’effetto è rappresentato dal movimento, il caso è ancor più emblematico. Supponiamo di lasciar libera una tigre in mezzo alla folla: la gente si sposterebbe e la tigre sarebbe il centro dei vari movimenti. Una persona che vedesse la gente ma non la tigre, dedurrebbe che in quel punto debba esserci qualcosa di repulsivo. Di più. Direbbe che quel punto emani una forza repulsiva. Ma noi sappiamo che quelle persone scappano a causa di qualcosa che accade loro e non semplicemente a causa della tigre. Scappano perché vedono e sentono la tigre e ne hanno paura, ovvero perché certe onde raggiungono i loro occhi e le loro orecchie. Se si potesse fare in modo che le stesse onde le raggiungessero senza che ci fosse la tigre, scapperebbero lo stesso.
Torniamo alla gravità solare. La “forza” esercitata dal sole differisce da quella della tigre solo in quanto essa è attrattiva anziché repulsiva. Invece di agire mediante onde luminose e sonore, il sole acquista apparentemente potenza grazie al fatto che si verificano delle modificazioni dello spazio-tempo. Come il rumore fatto dalla tigre, tali modificazioni sono più forti vicino alla fonte, più deboli man mano che ce ne allontaniamo. Dire che è il sole a “causare” tali modificazioni non aggiunge nulla alle nostre conoscenze. Il linguaggio di causa ed effetto introduce immagini irrilevanti, connesse (nel caso della tigre) con la volontà, con la forza muscolare e così via. In realtà si tratta solo di un rendiconto di ciò che sappiamo, ovvero che ci troviamo di fronte (nel caso del sole) a materia pesante. La cosa buffa è che proprio ciò che sappiamo si riferisce a punti in cui non c’è materia pesante! I cosiddetti effetti. Ma gli effetti, come abbiamo visto, non ci dicono nulla sulla causa. Il principio di causalità è dunque solo una comoda scorciatoia per determinati scopi, ma non rappresenta nulla che si possa riscontrare nel mondo fisico.
Il Merovingio ha torto. L’Universo fisico è ordinato non perché esiste un governo centrale che regola tutto. Non vi è alcun monarca ai cui ordini i pianeti debbono obbedire. L’Universo fisico è ordinato perché ciascun corpo pensa ai fatti propri!
MEROVINGIO: La scelta è solo un’illusione creata e posta tra chi ha potere… e chi non ne ha.
La verità è nella scelta. L’illusione è nella causalità. Nel mondo di Einstein vi è più individualismo e meno centralismo autocratico. Il che ci riporta alla centralità della SCELTA. L’individualità consente all’individuo di uscire dall’illusione della causalità (Matrix) per entrare nella luce della relatività.
SMITH: Perché signor Anderson’ Perché’ Perché persiste’
NEO: Perché cosi ho scelto.
La scelta vince. Vince perché libera. Perché va oltre e apre nuove prospettive. Restare imprigionati in Matrix, per Neo, significherebbe piegarsi alla causalità decantata dal Merovingio. Il viaggio del Messia, dunque, non può non concludersi che con una scelta, quella più difficile, più sofferta, il sacrificio di sé. Ed è proprio quella scelta che conduce Neo verso qualcosa di nuovo, uno scenario di luce che riusciamo solo ad intuire, ma che per forza di cose ci è precluso. Deve esserlo. Uno solo, infatti, compie la scelta suprema. Uno solo sceglie la l’individualismo vero che risiede nella relatività. Gli altri, Morpheus compreso, continuano la loro lotta, inevitabilmente inseriti nella catena della causalità.
MEROVINGIO: Causalità. Non c’è verso di sfuggirle. Le saremo in eterno assoggettati, la nostra sola speranza, la nostra pace dipendono dal capire questo, dal capire innanzitutto il perché. Il perché è ciò che differenzia noi da loro. E voi… da me. Il perché è la sola vera fonte di potere senza di essa siete impotenti. Così siete venuti da me, senza perché, quindi senza potere. Un altro anello della catena.
Purtroppo la cinica constatazione del Merovingio rappresenta la realtà delle cose. C’è un Neo in ognuno di noi, ma quanti di noi sanno realmente essere Neo’ Nonostante la dimostrazione della inconoscibilità della materia e della inesistenza della forza, il nostro sistema non rinuncia affatto a vivere (e a misurarsi) attraverso di esse. Nonostante la dimostrazione dell’illusione della vita nella Matrice, Cypher chiede di tornare in catene. Anche la sua è una scelta. L’accettazione servile del potere. Il che ci porta ad un’arguta osservazione di Russell, con la quale chiudo l’articolo:
Quel che sappiamo della materia, per quanto sia astratto e schematico, è sufficiente, in linea di principio, per farci conoscere le regole in base alle quali la materia produce in noi percezioni e sensazioni; ed è proprio da queste regole che dipendono gli usi pratici della fisica. La conclusione finale è questa. Sappiamo molto poco, e tuttavia è sorprendente che sappiamo tanto, ed è ancora più sorprendente che conoscenze così limitate ci assicurino tanto potere.
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