OMBRA
La notte del primo lunedì di gennaio Umberto Gaglio si svegliò di colpo, nel silenzio della sua stanza, colto da una precisa sensazione di pericolo.
Uno sfregare nervoso, come di unghie affilate sul legno, proveniva da dietro la spessa tenda grigia che copriva la finestra. Era convinto che da un momento all’altro la tenda si sarebbe mossa.
Passarono alcuni istanti, e la sensazione di pericolo crebbe dentro di lui, fino a divenire soffocante. Il suono sgradevole seguitava, ma la tenda rimaneva perfettamente immobile.
Finalmente Gaglio trovò la forza di vincere la sua paralisi, si sollevò dal letto e si avvicinò alla finestra. Era fermamente convinto che se avesse scostato la tenda, avrebbe visto qualcuno dietro di essa.
Fu in quell’istante che il rumore cessò, e la sensazione precisa che aveva provato fino a quel momento divenne confusa, indeterminata, fino a sfumare del tutto.
Gaglio sospirò, indeciso. Poi tornò nel suo letto, e in breve riprese un sonno tranquillo.
Il mattino successivo la sveglia suonò alle sette in punto, come sempre.
Si diresse lentamente in bagno, massaggiandosi la testa e i muscoli del collo affaticati, e sbadigliando si dispose di fronte al water per urinare.
Ma qualcosa lo fece esitare un istante prima che cominciasse. La tavoletta era abbassata. Per un momento se ne restò lì, confuso, senza muoversi. Poi prese a pisciare, sbadigliando con forza.
In ufficio si respirava un’atmosfera sana, quel mattino. Gaglio scambiò sorrisi di circostanza con un paio di colleghi e si sedette alla scrivania, gettando occhiate intorno per controllare che nessuno badasse a lui. Estrasse il giornale dalla valigetta e si mise a sfogliare le pagine di politica.
Era immerso nella lettura degli ultimi ritocchi alla manovra finanziaria, ormai perfettamente rilassato, quando il contorno netto di un’ombra si stagliò sopra le pagine del quotidiano.
Gaglio sollevò la testa con uno scatto, incapace di nascondere il senso di colpa. Tutti leggevano il giornale la mattina, in ufficio, prima di cominciare a lavorare, e nessuno aveva mai ripreso lui per questo. Ma anche dopo venticinque anni di servizio, Gaglio non riusciva a sopire completamente l’ansia quando sfogliava un quotidiano, in quei dieci minuti che andavano dalle otto e un quarto alle otto e venticinque, prima di mettersi al computer.
‘Qualcosa non va”, chiese a Concari, il collega che gli era comparso davanti.
‘E perché mai’ Brutta nottata”
Gaglio ebbe un sobbalzo. I suoi occhi si abbassarono involontariamente, e finse di riprendere a leggere.
‘No.’
‘Pensavo. Hai le occhiaie.’
Gaglio alzò le spalle e continuò a simulare una lettura approfondita. Concari tornò alla sua scrivania.
In casa faceva troppo caldo. Si accorse di aver lasciato il riscaldamento acceso e scosse la testa, infastidito. Accese la Tv, sintonizzò sul notiziario del primo canale e andò in bagno a lavarsi le mani.
Quando fece ritorno in cucina l’orologio segnava le sei e mezzo.
‘Troppi, troppi straordinari. Di nuovo”
La voce del conduttore annunciò l’entrata in studio di una nuova concorrente, da Grosseto.
Gaglio diede un’occhiata, sovrappensiero. Poi si diresse al frigorifero per un bicchiere di succo di frutta.
Si immobilizzò subito dopo aver aperto lo sportello, illuminato dalla luce fredda del frigo. Dopo un paio di secondi di paralisi, ruotò la testa.
La Tv accesa, una rete privata sul cinque, il grasso conduttore quasi calvo che rideva, una ragazza esile di Grosseto coi capelli tinti di nero’
Il notiziario. Dov’era il notiziario’
Dov’era il primo canale’
Quella notte, senza sapersi dare una spiegazione convincente, infilò dei tappi di gomma nelle orecchie, quelli acquistati durante il lungo periodo di insonnia che i vicini malati di sesso dell’appartamento precedente gli avevano procurato. L’insonnia e l’invidia erano rapidamente scomparse grazie al silenzio.
Sperava allo stesso modo di far scomparire l’ansia che di nuovo lo aveva preso al momento di andare a dormire.
Ma udì lo stesso i passi in cucina. Chiari, ben percepibili, almeno una dozzina.
E riuscì ad addormentarsi solo dopo le quattro, quando la stanchezza lo convinse che si trattava di passi dal piano di sopra.
‘Sei dei nostri per il caffè”, fece Concari. Sembrava cordiale, come sempre. Ma Gaglio sapeva che non era veramente cordiale.
‘Umberto, ce l’ho con te.’
‘No, grazie. Ho un po’ d’acidità di stomaco.’
In realtà era troppo nervoso per potersi permettere un caffè. Stava succedendo qualcosa. Probabilmente si stava ammalando, anche se il termometro, quella mattina, non aveva registrato segni di febbre. Non voleva passare per paranoico, ma qualcuno poteva essersi introdotto in casa sua, forse doveva allertare la polizia.
Eppure non quadrava, non quadrava per niente. Nessuno poteva essere entrato nel suo appartamento, al quinto piano, mentre lui era in bagno a lavarsi le mani, esclusivamente per cambiare canale al suo televisore. O durante la notte per graffiare gli stipiti della finestra nascosto dietro una tenda nella sua camera da letto ‘ quando la porta della stanza era chiusa a chiave dall’interno. E non poteva credere che qualcuno camminasse in cucina mentre lui dormiva, con la tranquillità di chi è in casa propria.
Una collega di mezza età gli mise sulla scrivania un malloppo di carte.
‘Queste da far firmare al direttore, per favore. Entro domattina.’
Gaglio la sentì appena, immerso nei suoi pensieri. Dopo altri cinque minuti, si alzò e prese la giacca. Avvertì il capoufficio che usciva per un caffè, e pazienza se Concari lo avesse incrociato per strada.
Una volta tornato si sentì di umore migliore. Evidentemente l’aria fresca gli aveva schiarito il cervello, e un insolito sole di gennaio gli aveva fatto ricordare che per le otto e mezza della mattina seguente era prevista un’eclissi perfettamente visibile a quella latitudine.
Si sedette di fronte al pc e aprì la posta elettronica. Un nuovo messaggio lampeggiava. Doveva essere arrivato mentre era fuori.
‘Grazie mille. Ora è a tutto a posto.’
Gaglio rilesse due volte. Il mittente era Catenacci, della sede distaccata. Lo chiamava spesso per farsi risolvere qualche grana informatica, e ogni volta Gaglio ci pensava sopra prima di dargli una mano: più si mostrava disponibile e efficace, più quello avrebbe continuato a perseguitarlo.
Pensò con nettezza che se avesse davvero ricevuto una richiesta di aiuto da parte di Catenacci, gliel’avrebbe negato con qualche scusa. Sapeva che avrebbe agito così.
Di cosa lo ringraziava allora’
Notò che pochi minuti prima era arrivato un precedente messaggio del suo collega. Qualcuno lo aveva letto. Un moto d’ira lo prese: chi si era permesso di aprire le sue email’
Era esattamente quello che si aspettava: una richiesta d’aiuto per una password dimenticata. Qualcuno aveva dato una mano a Catenacci dal suo computer. Aprì la posta inviata per cercare di capire chi fosse stato. L’ultimo messaggio era laconico, nel suo stile.
‘Resetta tutto e rientra da amministratore. U. Gaglio’
Una nuvola grigia oscurò l’imprevedibile sole di gennaio, e Gaglio inghiottì.
Sembrava proprio che l’email l’avesse mandata lui stesso.
Tornando a casa fu colto da un temporale improvviso, come quelli estivi. Presto le aiuole sul marciapiede che lo riportava al suo condominio si trasformarono in pozze di fango, e Gaglio non poté evitare di finirci dentro con un piede.
Aprì la porta e accese subito la luce. Anche se le giornate avevano preso ad allungarsi di nuovo, non si notava ancora alcuna differenza.
Faceva freddo in casa. Si avvicinò al termostato per accendere il riscaldamento, ma subito si fermò.
L’aveva nuovamente lasciato in funzione. Possibile’ Non aveva mai dimenticato di spegnerlo prima di uscire per andare in ufficio, e questa era già la seconda volta.
Un senso di sconforto lo prese, mentre muoveva passi stanchi verso il bagno. Accese la luce mentre la sua mente viaggiava a fatica tra strati di depressione e di frustrazione quando la paura gli riempì all’improvviso il corpo.
Netta, marcata, tra due mattonelle bianco smaltate del pavimento del bagno, c’era l’impronta di una scarpa infangata.
Si domandò, con forza, se era possibile. Si determinò a convincersi che era già stato in bagno, appena aperta la porta di casa, e aveva lasciato quell’impronta con le scarpe sporche per la pioggia. Si impose di ricordare che, per trascuratezza e abitudine, non aveva semplicemente registrato quell’evento ‘ ma che quell’evento era inevitabilmente accaduto. Poiché questo spiegava tutto, compreso il fatto che’
Compreso il fatto che l’impronta era identica a quella della sua scarpa, identica a quella del suo piede.
La testa gli girava quando si mise a letto. Introdusse di nuovo i tappi nelle orecchie e stavolta coprì anche gli occhi con una mascherina nera. L’aveva avuta in omaggio su un volo intercontinentale l’estate precedente. In aereo si era rivelata molto comoda.
Ma non poté evitargli di pensare che il mattino dopo sarebbe stato ripreso per non aver consegnato quel pacco di fogli al direttore per la firma. L’aveva dimenticato, lui che non dimenticava mai nulla. E la preoccupazione poté quasi fargli ignorare il ricordo della tavoletta di nuovo abbassata, mentre puliva l’impronta nel bagno, e la folata di aria sul suo viso, in piena notte, come se qualcuno fosse passato accanto al letto.
Eppure non ci fu nessun richiamo, al lavoro. Il pacco di fogli non era più sulla sua scrivania, quando arrivò in ufficio.
Dopo qualche istante di riflessione silenziosa, mentre il cielo si scuriva, prese il coraggio a due mani e si diresse dal Direttore. Bussando, cercò di reprimere quell’insopportabile e invincibile senso di colpa che provava quando era costretto a presentarsi a lui.
‘Avanti.’
Gaglio aprì la porta e se lo trovò di fronte. Un uomo buono, discreto, razionale. Gli sorrideva con cortesia, lo sguardo interrogativo. Per un istante la paura sembrò sciogliersi nella schiena di Gaglio.
‘Mi scusi, dottore, mi domandavo’ Quelle pratiche per il bilancio trimestrale’ Avrei dovuto portargliele per la firma in mattinata, ma”
Ma fu solo per un istante.
Gli occhi di Gaglio si fissarono sul pacco di fogli piazzato al centro della scrivania del Direttore.
‘Prego”, fece quello, confuso.
Gaglio non trovò nulla da dire.
‘Ce ne sono forse altre che prima ha dimenticato di darmi”
‘Ho’ io ho”
Il Direttore aggrottò le sopracciglia.
‘Gaglio, si sente bene”
Gaglio inghiottì con uno sforzo e si impose di rimanere lucido.
‘Quando sono stato qui”, scandì.
Il Direttore si rilassò sulla sedia, fissandolo con interesse. Poi sorrise, a disagio.
‘Be’, abbiamo parlato dell’eclisse solare, no’ L’ha vista, poi”
‘Q-Quando sono stato qui, signor Direttore”
Il Direttore smise di sorridere. Il suo volto divenne quasi severo.
‘Un momento fa, Gaglio. Lei è stato qui un momento fa.’
Fu con paura che rimise piede in casa. La paura di chi sente, sa che sta facendo qualcosa di proibito, qualcosa che non gli è consentito, che non gli compete. Che non gli appartiene.
Usò il bagno con l’accuratezza di un ospite, e lasciò su la tavoletta quando ebbe finito. Un senso di ansia soffocante lo attanagliava alla gola, il respiro veniva fuori a fatica.
Aveva paura di essere scoperto. Aveva paura di essere visto.
Si sedette sul letto, in penombra. Ogni suono, ogni rumore lo facevano sobbalzare. Gli venne l’idea di nascondersi, e subito dopo quell’idea si trasformò in un bisogno.
Si avvicinò con cautela alla finestra della stanza da letto e scostò la tenda.
La porta alle sue spalle si aprì. Gaglio rimase immobile, nell’angolo buio, invisibile. Lo ascoltò cercare nei cassetti, trovare quello che cercava, e tornare alla porta della stanza.
Allora, lentissimamente, si fece forza per voltarsi a guardare.
E lo vide.
Aveva appena aperto la porta della camera, e ne stava uscendo.
Gaglio non fece un fiato, non mosse un dito.
L’altro uscì.
Lo sentì accendere la televisione in cucina, sul cinque, sentì la voce del conduttore grasso e calvo.
Lo sentì mentre si preparava la cena, in casa sua.
L’altro, la persona che aveva preso il suo posto.
E allora si nascose dietro la tenda, come un’ombra nel buio, terrorizzato, e attese. La paura lo vinse, e non poté trattenere le sue mani, che tremavano nell’oscurità, sfregando con le unghie gli stipiti di legno della finestra. Ma la tenda rimaneva immobile, lui non lo avrebbe visto se non l’avesse scostata.
Soltanto quel rumore, quello sfregare di unghie, avrebbe disturbato il suo sonno. Lo avrebbe disturbato mentre dormiva, annientato dalla paura e dal rancore.
E forse una notte avrebbe potuto prendere il suo posto, come l’ombra di un’eclissi.
Il posto dell’uomo che lo aveva sostituito.